Bernardo da Corleone
La cittadina di Corleone, in Sicilia – che ebbe dall'imperatore Carlo V il titolo di «città coraggiosa» – non merita di essere ricordata soltanto per le tristi vicende di alcuni malavitosi dei nostri tempi. Oggi è bello ricordarla per questo suo figlio che conobbe la violenza, ma anche la santità. Filippo Latini apparteneva a una famiglia numerosa, la cui dimora era chiamata in paese «la casa dei Santi», quella dove i più miseri trovavano sempre ospitalità, cibo e conforto. Il ragazzo non era da meno, anche se il sangue spesso gli ribolliva davanti alle angherie compiute dalla guarnigione spagnola. Tanto più che, proprio dai quei soldati, Filippo aveva imparato a tirare di scherma diventando «la migliore lama di Sicilia». Così egli non indietreggiava quando doveva difendere dai soprusi qualche fanciulla angariata dai militari o dai signorotti, o i poveri mietitori depredati dei frutti del proprio lavoro. Per umiliarlo, fecero venire da Palermo uno dei migliori spadaccini. Filippo lo ferì gravemente in duello, e dovette rifugiarsi nel convento dei cappuccini, come il fra Cristoforo manzoniano. Non volle più uscirne, deciso a espiare violenza e orgoglio, e prese il nome di fra Bernardo. In convento accettò gli uffici più umili: cuoco, lavandaio, infermiere, sacrestano. Con gli anni, tutti impararono a chiamarlo «il frate buono», padre dei miseri e di tutti coloro che avevano bisogno di spirituale conforto. Trascorse gli ultimi 15 anni della sua vita nel convento di Palermo, in preghiera e penitenza, sempre pronto a intercedere presso Dio. Morì il 12 gennaio 1667, a 62 anni, e prima di seppellirlo gli dovettero cambiare il saio per nove volte, perché la gente continuava a sforbiciargli la veste per portarne a casa un pezzetto, come ricordo e protezione.
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