Novena a San Giuseppe di don Luigi Maria Epicoco
Salve Custode del Redentore e Sposo della Vergine Maria. A te Dio affidò il Suo Figlio. In te Maria ripose la Sua fiducia. Con te Cristo diventò uomo.
O beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi, e guidaci nel cammino della vita. Ottienici Grazia, Misericordia e Coraggio, e difendici da ogni male. Amen
Primo giorno
"Mio genero Giuseppe è un uomo con la testa sulle spalle. Quando venne a casa e ci confidò il suo amore per Maria nostra figlia, io e mia moglie Anna fummo davvero felici. Era un po' rosso in viso, e le parole che disse le disse in fretta, quasi senza fiato, come se le avesse provate tante e tante volte prima di dirle a noi. Ci fece un'immensa tenerezza sentirlo emozionato e allo stesso tempo coraggioso. E' una persona timida, ma di una fortezza d'animo straordinaria. Glielo si legge negli occhi. Sapevamo che uomo affidabile era e immaginavamo esattamente un uomo come lui accanto a nostra figlia. La faccenda del bambino, devo essere sincero, all'inizio l'abbiamo vissuta come una tragedia. Chi mai poteva credere a una storia del genere. Certe volte le cose sono così vere che sembrano inventate. Ma tutti in cuor nostro sapevamo che era la verità. Temevamo che Giuseppe ripudiasse la nostra Maria facendola condannare a morte, ma poi ci vergognammo di quel nostro timore perché Giuseppe è davvero un giusto, non un bonaccione. E le persone rette sanno riconoscere il bene dal male, la verità dalla menzogna. Hanno occhi e sogni migliori dei nostri". (intervista a San Gioacchino, suocero di San Giuseppe)
Secondo giorno
"La prima volta che Maria mi parlò di Giuseppe eravamo al lavatoio a lavare i panni. Ascoltai silenziosa senza far trasparire niente di ciò che pensavo. Devo confessare che una mamma quando pensa al futuro dei propri figli lo pensa sempre bellissimo e luminoso, ma quando arriva il momento in cui quel futuro arriva, si ha sempre voglia di rimandare, di aspettare ancora. Ma sentir parlare Maria con un tale entusiasmo di Giuseppe mi fece bene al cuore. Il giorno che decisero di partire proprio a ridosso del parto, ero agitata e in ansia. Volevo esserci io accanto a mia figlia per aiutarla nel parto, ma si era incaponita di voler partire con il suo Giuseppe per il censimento. Mi rassicurava in tutti i modi ma io continuavo ad essere preoccupata. Fu Giuseppe a rasserenarmi. Mi prese da parte e mi disse. "Entrambi amiamo Maria, è vero?", risposi "Si certo". E lui continuò: "Pensi che le farei mai mancare qualcosa? O la lascerei sola in un momento difficile?". Risposi: "Credo proprio di no". "Allora fidati di noi. Lo stesso Dio che ci ha fatto questo, farà anche il resto". Tornò la pace in me. Ecco chi è Giuseppe. Uno che ti fa ripensare alla fiducia in Dio quando invece le preoccupazioni umane ti fanno ripiegare su te stesso". (Intervista a Sant'Anna, suocera di San Giuseppe)
Terzo giorno
"Ero un po' timoroso la prima volta che mi feci spazio tra i sogni di Giuseppe. Anche tra i sogni c'era profumo di legno, giornate di sole e Maria ovunque. Eppure dovevo trovare il modo di dirgli che Maria non gli aveva mentito. In fondo al suo cuore lo sapeva già, ma era la testa che non riusciva a calmarsi. Ma come dargli torto? Allora provai per la strada dei sogni. Mi incoraggiarono alcuni colleghi un po' più pratici di me, ma avevo le mie remore perché se io fossi un uomo non darei mai retta ai sogni. (San) Michele mi rimproverò quando dissi questa cosa, e mi disse che ragionamenti simili li faceva Lucifero prima di ribellarsi. Ebbi un brivido su tutte le ali e mi fiondai subito verso casa di Giuseppe. Era notte. Faceva fatica a dormire, ma appena crollò per stanchezza gli diedi il mio messaggio. La mattina dopo rimasi sconvolto. Era un altro uomo. Corse subito a casa di Maria e l'abbracciò. Lungo la strada guardava i volti di tutte le persone. Non so se era sfida o orgoglio. Sicuramente nessuno si permise più a dirgli una sola parola ne sulla moglie, ne sul bambino. E tutte le altre volte che ho avuto bisogno di dirgli chiaramente qualcosa, ho sempre usato con lui la via dei sogni. Non mi faceva domande. Mi ascoltava e poi era come se avesse fretta di svegliarsi. Forse perché sapeva che per realizzare un sogno bisogno innanzitutto svegliarsi". (Intervista all'arcangelo Gabriele su san Giuseppe)
Quarto giorno
"Devo essere sincero. Un po' mi vergogno a rilasciare questa intervista, specie per la brutta figura che abbiamo fatto con Giuseppe e la sua bellissima sposa. Far nascere un bambino dentro una stalla non è proprio il massimo dell'accoglienza per un paesino come il nostro Betlemme. Ma non era cattiva volontà, era vero che c'era il pienone ovunque. Fu mia la battuta in cui dissi a Giuseppe quasi scherzando per togliermelo di torno: "Ho una stalla a cinque stelle, la vuoi?". Non immaginavo che mi rispondesse di si. Fui costretto a prendere la lanterna e ad accompagnarlo fino al campo dove era situata. Roba da pecore e capre, non certo per donne che stanno per partorire. Ma Giuseppe con una forza e una dignità estrema si mise subito a spazzare, pulire, ordinare. In pochissimo tempo trasformò quella stalla in una piccola regia fatta di paglia pulita, mangiatoia culla, e riscaldamenti incorporati (bue e asinello). Maria era visibilmente sofferente. Lui la prese in braccio e la portò dentro. Da quel momento in poi lo vidi diventare teso e pallido. Sudava anche se era inverno. Si sforzava di sorridere, ma si vedeva che era agitato. Poi chiuse gli occhi e recitò un salmo: "Il Signore è il mio pastore non manco di nulla...". Io non sono mai stato bravo con la religione, ma lui lo conosceva bene. Mi sentivo in colpa perché non potevo fare di più, ma alla fine andò tutto bene. Venne al mondo un bambino bellissimo. Cercai di scusarmi dicendo che non era colpa mia, ma Giuseppe mi interruppe e mi ringraziò dicendomi che quando si ama qualcuno si diventa creativi anche con mezzi poveri. Allora lui non era un creativo, era davvero un genio dell'amore. Fu grazie al restyle di quella stalla che cominciammo l'attività B&B nelle nostre campagne. In poco tempo mi presi involontariamente i meriti di quella storia, e mi fecero sindaco. Ma io l'ho sempre detto che non era merito mio. Scrivilo questo, mi raccomando!!" (Intervista ad Elhi, sindaco di Betlemme).
Quinto giorno
"Ho un po' le idee confuse perché di carovane di profughi qui in Egitto ne arrivano tante. Ma la coppia di cui mi parli tu me la ricordo bene. Ho ancora impressa la scena nella mia memoria: una ragazza bellissima con il volto stanco che stringeva a sé un fagottino con un bambino avvolto con cura, e poi Giuseppe, che teneva tra le mani le redini di un asinello e un bastone. Noi per tutto il tempo che si è fermato in Egitto lo abbiamo chiamato "l'uomo dei mille mestieri". Pur di guadagnare un po di pane ha fatto di tutto: muratore, contadino, spazzino, cameriere, ma c'era un mestiere dove era una vero maestro, il falegname. Era un artigiano nato. Gli déi avevano benedetto le sue mani. Non ci raccontò molto della sua storia, ci disse solo che avevano iniziato questo "viaggio della speranza" perché costretti dalle circostanze. E come dargli torto, io non ho mai conosciuto un profugo che parte per piacere, molto spesso parte costretto, dalla fame sopratutto o dalle guerre che da queste parti non mancano mai. Mi colpì una cosa: non ha mai maledetto che chi l'ha costretto a mettersi in viaggio e a diventare un signor nessuno in Egitto. Quando non poteva parlare bene di qualcuno solitamente stava zitto o cambiava discorso. Aveva uno stile straordinario. Una volta glielo dissi: "Giuseppe caro, sembri di stirpe regale". Lui diventò rosso, Maria sorrise e mi disse sottovoce: "Effettivamente sta volta c'hai azzeccato". Mi parlò di un certo Davide ma nei motori di ricerca delle nostre piramidi non ne trovai traccia. Trovai però traccia di un altro Giuseppe, un altro esperto di sogni come lui. Comunque bella gente. Quando tornarono a casa dispiacque a tutti noi". (Intervista a Ramses, l'egiziano)
Sesto giorno
"So che siete venuti direttamente da me perché gli altri "due" non hanno fatto proprio una bellissima figura a regalare al bambino incenso e mirra. Ma detto tra noi, tutte e tre ci siamo trovati un po' spiazzati davanti alla povertà dignitosa di quella famiglia. Io volevo nascondere l'oro perché mi sembrava un regalo da pezzenti. Infatti lì dove trovi dignità anche nell'estrema povertà, capisci che non puoi contribuire con cose materiali, ma solo con un pezzettino della tua umanità. Eravamo impreparati a un incontro simile. Era andata meglio da Erode. E' più facile pavoneggiarsi in una corte, mostrando le vesti firmate, gli anelli più in voga, e l'ultimo modello di cammello Suv inaugurato proprio per il viaggio. Ma quando arrivi davanti alla fragilità di un bambino, ti accorgi che il tuo cammello Suv non serve a niente, e che nelle case dei poveri non conta ciò che indossi ma ciò che sei. Credo che è stato per questo che alla fine ci siamo tutti e tre prostrati davanti a quel bambino. Solo un Dio poteva coglierci così impreparati. Eravamo arrivati davanti a quella stalla per ragionamento e calcoli di stelle, ma non potevamo immaginare di trovare in quel niente il Tutto. Giuseppe si affrettò a metterci a nostro agio. Ci offri del latte che credo avessero anche loro ricevuto da qualche pastore. E con la barba ancora un po' sporca di quella bevuta abbiamo tirato fuori questi regali sperando che almeno Giuseppe capisse che al più vicino "Cambio oro" avrebbe potuto ricavare una somma non indifferente di denaro. Ci ringraziò e ci disse che quelli erano doni non da scartare ma da conservare per tempi migliori. Ci disse che Gesù da grande avrebbe capito ciò che nemmeno noi forse riuscivamo a comprendere. Ci sembrò molto più saggio di noi. Certa povera gente ti dà grandi lezioni, perché hanno una libertà che noi ricchi non abbiamo. Noi siamo ricchi non perché possediamo delle cose ma molto spesso perché sono le cose a possedere noi. Quella invece era gente libera. Negli occhi di Giuseppe ho visto gli occhi della libertà vera". (Intervista a Gaspare, uno dei tre Re Magi)
Settimo giorno
"Si si, certo che mi ricordo di loro. Vennero diversi anni fa da me. Erano disperati. Avevano perso il figlio a Gerusalemme durante i festeggiamenti. Si rivolsero a me per avere una mano, ma qui a Gerusalemme si perde una persona ogni ora, ma non glielo dissi per non spaventarli, erano già abbastanza provati. Mi raccontarono che stavano tornando a casa e ciascun dei due pensava che il figlio fosse con l'altro. Quando si va in carovana ci si divide maschi e femmine, il motivo è ovvio: gli argomenti!! Chiesi se avessero litigato con lui, ma mi dissero di no. Effettivamente era impossibile litigare con quella gente, avevano un'aria molto mite, gesti misurati, sguardo buono. Ma i ragazzi so ragazzi, e si sa che in adolescenza ne combinano di tutti i colori. Cercammo per tre giorni, ma non ci fu verso. Decisero allora di rivolgersi a qualcuno più in Alto di me: Dio. Andarono direttamente al tempio a pregare, e meraviglia delle meraviglie lo trovano lì mentre metteva in difficoltà i dottori del tempio con le sue domande e le sue spiegazioni. Mi avvisarono e ci andai anche io. Volevo proprio vedere la faccia di quel monello, ma invece di un monello mi trovai un piccolo angioletto, con questi occhioni profondi e un sorriso tutto sua madre. Il padre se lo strinse al petto, e la madre gli disse qualcosa all'orecchio. Non so cosa. Ma quel giorno capii che non serve a molto picchiare i figli, forse serve abbracciarli di più come fece quell'uomo. Si impara anche dalle gente semplice, non lo sapevate?" (Intervista al Capo della squadra mobile di Gerusalemme)
Ottavo giorno
"Il respiro si fa corto. Gli occhi cominciano a non vedere bene. Siamo giunti al capolinea Giuseppe. Tutto il tuo lavoro, tutto il tuo amore, tutta la tua vita sta giungendo all'ultimo grande passo, quello della morte. Gesù si avvicina al tuo letto e decide di prenderti fra le sue braccia. Ti solleva come un bambino. Quando si diventa anziani si torna un po' bambini. Poggi la tua testa sul suo petto. Senti i battiti del suo cuore. Maria piange e ti sorride. Ti bacia la fronte, e d'un tratto ti accorgi quale grande onore hai avuto a passare la tua vita occupandoti di loro due. Glielo dici. Tu Giuseppe hai rinunciato ai tuoi sogni e Dio ti ha regalato il Suo sogno. Ti senti un po' in colpa perché vorresti avere un po' paura. E' giusto avere un po' paura della morte. Ma come si può avere paura morendo fra le braccia di Gesù e Maria? Nei secoli la tua morte sarebbe stata ricordata come una "morte santa", la prima. Gesù si avvicina al tuo orecchio e ti sussurra che ti vuole bene. Poi come un dolce comando ti dice: "Vai pure papà". E il tuo respiro prende il volo verso il cielo. A Dio Giuseppe. A Dio….Grazie per la tua vita e per il tuo Si".
Nono giorno
"Per capire Dio devi prendere in braccio un bambino appena nato. In quella fragilità c'è tutto il miracolo della vita. E tu Giuseppe sei diventato maestro di teologia perché la notte in cui Gesù è nato tu eri lì, e le tue braccia sono diventate il primo ostensorio del Corpo di Cristo. Guardando il Figlio di Dio nella fragilità di quel bambino ti sei accorto che tutta l'onnipotenza di Dio era consegnata in quel pianto di bimbo e in quelle lacrime di gioia che ti scendevano dagli occhi. Tutta la Verità è una Persona non un'idea. Tutto il segreto del cristianesimo è nell'amare questo bambino fatto uomo. Insegnaci Giuseppe questa teologia. Dacci lezioni di amore. Facci comprendere che non i nostri libri schiariranno la notte ma il sorriso di questo bambino. Riabituaci a riconoscere l'Infinito nel finito. E facci innamorare dell'Eucarestia, quel pane fragile come quel bambino che hai fra le braccia, che è il modo che oggi Dio ha scelto per stare in mezzo a noi".
Festa di San Giuseppe
Oggi la liturgia ci fa festeggiare una delle figure più defilate ma più significative e importanti del Vangelo: Giuseppe. Di lui ci sarebbe tantissimo da dire e da scrivere e questo paradossalmente sarebbe in contrasto con il protagonismo che ha avuto nel Vangelo, dove non è riportata nemmeno una sua parola. Infatti proprio nel Vangelo di oggi salta subito all'orecchio il silenzio dei due protagonisti. Giuseppe e Maria non parlano. Agiscono, scelgono, seguono, rischiano, dubitano, soffrono ma il racconto registra un lungo silenzio. E' il silenzio di chi è davvero umile. Gli umili non si perdono dietro le parole, dietro quegli interminabili racconti dei "perchè", ma prendono la realtà sulle loro spalle senza troppo storie, con una mansuetudine coraggiosa non umiliante. Eppure Dio guarda nei loro cuori, scorge, ad esempio, in quello di Giuseppe una profonda paura. E' la paura che forse le cose non stanno come ha capito, che forse i suoi sogni sono finiti, che forse non sarà mai veramente felice così come aveva immaginato. Così Dio manda angeli nei suoi sogni. Manda risposte che giungono dritte a quel cuore impaurito, senza togliergli però la "facoltà di scelta". Giuseppe davanti a quel sogno deve rischiare se crederci o meno. Non ha certezze ma suggerimenti, intuizioni. Senza il rischio della libertà niente varrebbe la pena, sarebbe solo tutto da copione. E' questo rischio di fidarci di ciò che si mostra certo solo in regioni non verificabili del nostro cuore che ci fa essere liberi. E' così per ogni cosa, quando si ama qualcuno, quando si sceglie di fare quel lavoro, o di fidarsi di quell'amico. E' un rischio che esige la nostra scelta. "Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa". Da quel momento in poi Giuseppe diviene infinitamente responsabile di Gesù e di Maria. Diviene il custode delle cose che di più prezioso Dio ha. Cosa dovrebbe essere il nostro cristianesimo se non la stessa cosa? Cosa dovrebbe essere se non sentirci infinitamente responsabili di Gesù e di Maria?
Caro Giuseppe, custodire non è attività poliziesca ma arte di padre. Perché custodire non è nascondere ma proteggere. E proteggere non è evitare ma preservare. E preservare non è risparmiare ma capacità di saper aspettare il momento giusto. La tua mano sulla spalla di Cristo non è messa per trattenere ma per dare il via. Un padre questo fa, si fida e per questo accetta di perdere quella spalla. Tu hai abitato la rincorsa dell'infanzia e della giovinezza di Cristo, ma al "via" della vita pubblica di Gesù tu non ci sei più, perché tu sai bene che un padre vero serve a raggiungere il punto di partenza ma non a fare il viaggio al posto del figlio. Grazie Giuseppe, perché tu non sei mai stato un cireneo costretto a prendere sulle sue spalle i sogni di un Altro. Tu sei stato un padre perché ti sei saputo prendere la responsabilità di ciò che ti è capitato. I "figli" non li si sceglie (men che meno li si compra). I "figli" li si accoglie e li si lascia andar via perché non sono la soddisfazione di un bisogno, ma il privilegio doloroso di rinunciare a un po' di se stessi per fare spazio a qualcuno. Certi "figli" li mettiamo al mondo noi, molti invece ci capitano. Cristo ti è capitato, ma non hai lasciato passare invano l'occasione. Per questo tutti ti stimiamo, perché sentiamo la nostalgia di persone come te. Perché siamo sempre attratti da ciò che dovremmo essere e che non sempre siamo. Caro Giuseppe, tu sei un uomo che ci ricorda un'umanita' che ci siamo perduti per strada. Prestaci la tua mano, la nostra spalla ha bisogno di persone così. La Chiesa ha bisogno di persone così. Il mondo ha bisogno di persone così, perché molti Cristi attendono padri che li accompagnino a vivere, che rendano possibile la loro vita, come tu hai fatto con Gesù.