Chiusura IX Centenario della Chiesa Madre di Ferentino
Si è conclusa questa sera 29 dicembre 2008 alle ore 17 con una solenne liturgia Eucaristica, il IX Centenario della Basilica Cattedrale dei Santi Giovanni e Paolo indetto proprio un anno fa nella stessa circostanza vale a dire nell'anniversario della traslazione delle ossa del Martire Ambrogio dalla chiesa abbaziale di Santa Maria Maggiore (che fino a quel momento era la Cattedrale della città) alla nuova Basilica dei SS. Giovanni e Paolo eretta sull'Acropoli della città ernica: la storia ci dice che questo passaggio avvenne il 29 dicembre 1108.
A riguardo si può consultare un articolo di don Luigi Di Stefano estratto dal sito della Cattedrale relativamente al Martire Ambrogio e le chiese della città collegate alla sua storia
quattro-chiese-raccontano-santambrogio.pdf748.97 KB
La celebrazione animata dalla coro della Basilica "I Cantori del Duomo", è stata presieduta dal canonico-parroco don Luigi Di Stefano: nell'omelia don Luigi ha ricordato le varie traslazione che nel corso dei secoli il corpo di Sant'Ambrogio ha avuto da parte del popolo ferentinate: innanzitutto la prima sepoltura nel 304 fino all'anno 804 nella cripta dell'attuale nostra Chiesa di S.Agata(nella pagina dedicata alla struttura della chiesa possiamo notare alcune foto relative alla parte rimasta illesa dai bombardamenti della seconda guerra mondiale; chissà se in futuro sarà possibile effettuare degli studi seri sull'eventuale restauro della cripta, come 60 anni fa pensava e sperava il primo parroco don Luigi Romanò).
Infatti la tradizione ci racconta che l'attuale suolo occupato dalla chiesa di S. Agata è stato uno dei primissimi (qusi sicuramente il secondo) oratori cristiani: un luogo cioè dove i primi cristiani si riunivano per la preghiera e nello spezzare il Pane; ancora, esso è stato il primo "Cemeterio" della città. Ecco perchè Sant'Ambrogio ebbe lì il suo primo sepolcro: intorno a lui la prima comunità cristiana si riuniva e si dava coraggio sullla base della sua testimonianza di fede.
Mi ha sempre emozionato guardare quelle volte a crocera che la storia ci ha consegnato e pensare a quel primo oratorio cristiano nonchè sepolcro del Martire, un luogo sicuramente sacro e vivo nello stesso tempo!
La storia ci racconta della prima traslazione delle sacre reliquie nella Chiesa di Santa Maria Maggiore nell'anno 804 e successivamente nell'anno 1108 nella nuova Cattedrale come già detto:in ogni caso, ci ha tenuto a precisare don Luigi, tutti gli spostamenti sono stati seguiti con attenzione da tutto il popolo dei fedeli ferentinati(vedi ad esempio le lapidi marmoree sull'attuale sepolcro), segno della loro volontà di scegliere Ambrogio come sibolo e patrono della città stessa. Maggiori notizie possiamo trovarle nell'articolo di don Luigi Di Stefano pubblicato sul sito della Basilica che di più avanti proponiamo in questa solenne occasione.
Molto significativo è stato l'accostamento, all'interno dell'omelia, tra la culla - che in questi giorni del Santo Natale siamo invitati a contemplare - e la tomba: nelle icone bizantine, ci ha ricordato don Luigi, nel raffigurare la culla si prendono elementi figurativi propri delle bare funebri. Perchè? Che collegamento ci può essere tra un simbolo di morte ed un simbolo di nuova vita? Per noi cristiani l'elemento di unione è rappresentato da Gesù, il Dio fatto Uomo che ci ha rigenerato dalla morte attraverso la sua Incarnazione e la sua Resurrezione.
Allora con la nascità di Gesù, dell'Emmanuel (il Dio-con-noi) la morte assume un valore, un senso: il passaggio alla Gloria di Dio, alla contemplazione del Padre celeste.
Grazie don Luigi di queste parole, esse toccano sempre il cuore di un ferentinese che trova in Ambrogio un vero soldato della fede. Oggi nel giorno del tuo genecliaco, a nome di tutta la comunità parrocchiale ti porgiamo tanti auguri di bene! Gesù che ha trovato in te un valoroso testimone della fede di possa sempre custodire nella sua Grazia.
di don Luigi Di Stefano
E’ comunemente accettato, ormai, che la Chiesa Cattedrale abbia avuto origini altomedievali con il vescovo Pasquale I, sotto il pontificato del Papa Pasquale I (817-824), come ben dimostrano i numerosi reperti archeologici, il ciborio, i plutei, le colonnine e le varie cornici di raccordo di stile longobardo. Si deve, invece, all’intraprendenza e alla fattiva operosità del Vescovo Agostino (1106-1113), già abate del Monastero di Casamari, e definito “plus” et “actor”, pastore zelante ed artefice, che la dedicò, come quella di Casamari, ai santi fratelli romani Giovanni e Paolo, la grande opera di ristrutturazione e di rinnovamento interno della basilica.
A suggello della grande opera intrapresa, infatti, il pio prelato il 29 Dicembre del 1108 vi trasferì le reliquie del martire Ambrogio, patrono e principale protettore della città e della Diocesi. (cfr. il calendario liturgico della corte papale avignonese del 1300 e della Cattedrale di Ferentino che riportano sempre al 29 Dicembre la celebrazione della “memoria” annuale della deposizione di S. Ambrogio).
In un pluteo cosmatesco della Cattedrale all’opera del vescovo Agostino per la sistemazione e l’abbellimento del sepolcro del Martire sotto l’altare maggiore è collegato anche il nome del papa Pasquale II (1099-1118). La tradizione vuole che detto Pontefice il 13 Giugno 1108 abbia consacrato di persona la rinnovata basilica Cattedrale e l’altare.
Per antica tradizione, infatti, il ricordo annuale della Dedicazione della Cattedrale veniva celebrato dai Canonici il 13 Giugno (cfr. Archivio Capitolare, ACF, voI. V’ F. 105 ). Ma il vescovo Valeriano Chierichelli, con un Editto del 12 Maggio 1707, per togliere la concomitanza con la festa di S. Antonio da Padova che a Ferentino si celebrava solennemente nella chiesa di S. Francesco con processione e fiera, dietro Decreto della Sacra Congregazione dei Riti del 27 Novembre 1706, trasferì il ricordo della Dedicazione della Cattedrale al 23 Ottobre di ogni anno.
Perciò quest'anno, il 29 Dicembre 2007 abbiamo aperto il Nono Centenario della rinnovata Basilica Cattedrale per chiuderlo solennemente la Domenica 28 Dicembre 2008, a ricordo significativo di quel fausto giorno 29 Dicembre del 1108, quando la nostra Cattedrale, già illustre per l’architettura e per l’arte, per gli avvenimenti storici e le celebrazioni dei Pontefici romani, fu impreziosita e resa ancor più sacra per la presenza del sepolcro del martire Ambrogio (+ 304) .Quello che affascina chi visita la Cattedrale per la prima volta è il pavimento in mosaico della celebre famiglia romana “Dei Cosmati”. Se ancor oggi esso crea lo stupore nel visitatore, figuriamoci cosa doveva essere prima che il genio devastatore del “Barocco”, con l’esaltazione di un gusto alterato e invadente, nel 1693 decurtasse l’arte della Basilica delle sue opere più belle: l’iconostàsi e l’ambone. Fin dall’antichità alla “Cattedrale” di Ferentino (cosiddetta perché nel catino dell’abside contiene la cattedra vescovile, icona del magistero del Vescovo) furono riservati i titoli onorifici di “Basilica”, cioè di “edificio regale”, avuto per concessione pontificia, e di “Duomo”, cioè “chiesa illustre”, denominazione normalmente riconosciuta per alcune cattedrali che si impongono nel contesto urbano per l’arte e il decoro. Se perciò, oltre ai plutei di mosaico ancora in situ, diamo uno sguardo anche alla molteplicità di altri pezzi devastati e accantonati, ora esposti lungo le pareti della chiesa, amaramente ci rendiamo conto di quante opere siano state manomesse o abbattute e restiamo veramente sbalorditi per la sontuosità e la magnificenza originaria della chiesa. Doveva essere una ricchezza ed un incanto e non ci si rende conto oggi come sia stato possibile bonariamente commettere simili scempi.
Il pavimento che oggi attrae la maggiore attenzione della chiesa, risale al 1203. In un’iscrizione, purtroppo scomparsa nel 1747 durante i lavori di risistemazione della cappella laterale destra, dedicata allora a S. Ambrogio, incisa su una delle volute della guida centrale si leggeva: “Hocpavimentumjecit Albertus Episcopus, per manus Jacobi magistri romani”. Si tratta di Alberto Longhi (1203-1222) già canonico della Cattedrale di Anagni. maestro ed amico del papa Innocenzo III, scelto e consacrato vescovo dallo stesso pontefice nella Cattedrale di Ferentino il 30 maggio 1203.
Nella lunetta esterna sulla porta centrale d’ingresso è raffigurata la “Vergine odigìtria”, cioè del “retto cammino”, tra i santi Giovanni e Paolo in tunica romana clavata, completata dal pallio bianco, che guarda chi entra e gli indica come vera meta del cammino il Bambino Gesù che porta sul braccio sinistro. Pendenti alle due estremità dell’arco superiore sono scolpite due botticelle, segno dell’abbondanza di beni spirituali che si troveranno all’interno del duomo e che donano allegrezza e gioia. Entrati, ci si trova davanti a una guida marmorea, costituita da un’infinità di tessere policrome, alcune addirittura di pochi millimetri, artisticamente disposte a ornamento di una serie continua di volute. che racchiudono dei cerchi diversi l’uno dall’altro, con lo scopo di scandire i vari passaggi di un “cammino di perfezione’, che l’anima cristiana compie per arrivare all’incontro con il Signore, che abita nel punto più interno ed elevato della chiesa. Nulla è posto a caso. Il primo cerchio contiene il disegno centrale policromo del triangolo con tre globi semicircolari costruiti uno su ogni lato, contornato da una raggiera bianca, che gli dona l’effetto e lo splendore del sole. A te che lo Osservi fa venire l’idea della Santissima Trinità, che ti invita a ricevere la benedizione di Dio, che ti accoglie. ti prende sotto la sua protezione e ti invita a non aver paura di intraprendere un cammino di conversione nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Si ascende per i quattro cerchi successivi. incamminati alla ricerca di Cristo Gesù, la cui venuta dei tempi dell’antica Alleanza è stata curata dal Padre stesso. che prima si è creato un suo popolo con gli eventi straordinari della liberazione dall’Egitto e del sostentamento nel Deserto. poi se lo è formato con il dono dato a Mosè dei Dieci Comandamenti, con gli scritti sapienziali, e con la parola dei Profeti (Ebr. 1,1).
Sono un’alternanza di due tondi, segno della incommensurabilità della grandezza di Dio e di due esagoni, figure geometriche misurabili, segno della limitatezza umana.
Tutt' intorno siamo circondati da tanti riquadri rettangolari, tutti orientati, come tante persone disposte sui tappeti di preghiera del culto orientale verso Gesù Cristo, che, seduto in trono nell’alto del catino dell’abside, rivestito delle bianche vesti sacerdotali del Risorto, mostra nelle mani aperte per un annunzio di pace le ferite dei chiodi della croce, segno della salvezza portata all’umanità con la sua morte (1Cor. 15.14-20).
Se allunghiamo lo sguardo in avanti vediamo uno scalino di circa 15 cm. Tutt’in giro su quello scalino era sistemata la recinzione della “Iconostàsi” (lett. “luogo dove si pongono le immagini”), costituita da splendide e grandiose lastre di marmo, finemente ornate da intarsi in mosaico con disegni geometrici o con tondi disposti “a forma di quincònce” (come il numero cinque nei dati da giuoco) raccordati da comici deliziosamente scolpite con rifiniture cosmatesche. Oggi i plutei, tolti già nel 1693 dai luoghi originari, alcuni sono stati riutilizzati nel pavimento, altri sono stati esposti, anche se mutili e rovinati, intorno ad alcuni pilastri adiacenti.
La zona sullo scalino recintata in origine dai plutei della iconostasi è detta anche Schola Cantorum, perché racchiudeva lo spazio riservato ai ministeri esercitati di fatto nella Chiesa, cantori, lettori, accoliti, sacristi e ministranti. Nei lavori di restauro eseguiti nel 1904 si è voluto ricostruirla più piccola, arretrandola, per recintare almeno il presbiterio, luogo riservato al clero, disposto su un piano ancora più rialzato di almeno cm. 86.
Ancora nella zona pianeggiante della chiesa, tra la porta d’ingresso e lo scalino, vediamo che la guida si allarga in un grande riquadro. Questo è il punto di mezzo di tutto il corpo della chiesa nella zona riservata al popolo, cioè l' “omphalos” (=l’ombelico). La cornice riquadra un quinconce, di cui la rota centrale più grande delle altre, di color giallo oro, richiama il colore della divinità e del paradiso nelle icone bizantine. Essa rappresenta Cristo Gesù, contornato dai quattro esseri viventi dell’Apocalisse: il leone, il bue, l’uomo e l’aquila (Ap. 4,9), dai padri della Chiesa (S. Treneo, Adv. Haer. 3.11.8) scelti a significare i quattro evangelisti.
L’omphalòs è fatto a imitazione della “rota regia”, più solenne e grandiosa, costruita nel sec. V° sec. dall’imperatore Giustiniano nella Basilica di S. Sophia a Costantinopoli, dove l’imperatore era solito porsi per ricevere l’omaggio della corte, dei dignitari e del popolo. Era il luogo tradizionale dell’accoglienza. Infatti ogni nuovo vescovo, quando fa il primo ingresso nella sua Cattedrale. qui si inginocchia a baciare il Crocifisso, posto su quella pietra che è l’icona di Cristo Gesù. Anche i neofiti, la notte di sabato santo, dopo aver ricevuto il battesimo al fonte battesimale. qui venivano accolti dal vescovo per ricevere l’unzione della cresima ed essere ammessi a celebrare l’eucaristia con la comunità.
I sei cerchi che ci separano ancora dallo scalino e quindi, dall’ingresso nella Scuola Cantorum indicano il periodo e il cammino catecumenale della Iniziazione cristiana, prima di essere ammessi ai Sacramenti. E’ il momento delle Catechesi, della conversione e delle scelte vere nella vita: della conoscenza reale di Cristo, dell’esercizio delle virtù cristiane; ma soprattutto dell’accettazione delle sei richieste del “Padre Nostro “, la preghiera insegnata da Cristo Gesù, che nel periodo della Iniziazione Cristiana viene consegnata in modo particolare ad ogni catecumeno perché la mediti, l’approfondisca e la faccia propria prima di essere ammesso alla vita sacramentana. Nel quinto cerchio troverai ancora un quinconce disposto a croce, che indica la “signatio”, per cui il catecumeno, che si prepara a ricevere il battesimo, vene segnato sulla fronte dalla croce di Cristo Gesù,
Il dislivello dello scalino ci immette ad un livello spirituale superiore, che è la zona sacra dell’Iconostasi, nella quale possiamo usufruire della vita sacramentaria della Grazia, Le sette circonferenze racchiudono ruote ed esagoni, i sette sacramenti donati da Cristo e amministrati dalla Chiesa. I due sacramenti che liberano l’anima dal peccato e dal male (il battesimo e la penitenza) sono rappresentati da due ruote di granito grigio.
Due lastre intarsiate con il numero “8” ci ricordano il “giorno ottavo”, il giorno dopo il sabato, giorno della Risurrezione di Cristo e della Pasqua e ci avvicinano sempre più al luogo, dove abita il “Santo dei Santi?”, e dove si vive la centralità del messaggio di salvezza. La Risurrezione, infatti, è la compietezza, la speranza e l’unica forza della vita cristiana. Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede, dice S. Paolo.
Per la celebrazione dei divini Misteri, che sono lo scopo principale della Chiesa, sono stati disposti due grandi centri di interesse ben visibili nella Chiesa, i più rappresentativi e i più ornati: l’ambone con la colonna del Cero Pasquale e il ciborio con l’altare.
L’ambone era un primo luogo nobile ed elevato nella Chiesa dove si proclamava la Parola di Dio e quindi si svolgeva la prima parte della Messa. Esso consisteva in una tribunetta posizionata sulla destra di chi entra, all’interno dell’iconostàsi. Era sostenuta da sei colonne e abbastanza elevata per rendere visibile il lettore che proclamava le letture; vi si accede- va per mezzo di una scala in muratura. Era racchiusa per tre lati dai plutei, ora posti nel pavimento davanti al martyrium di S. Ambrogio. raccordati fra loro agli angoli dalle quattro colonnine, riutilizzate nel 1904 ad abbellimento dell’altare maggiore. La forma stessa rettangolare dell’ambone contiene in sé l’idea della tomba di Cristo, da cui sprigiona il messaggio pasquale della risurrezione.
A fianco dell’ambone si innalzava il monòlito della colonna tortile del cero pasquale. Addossata attualmente ad un pilastro della navata centrale, rappresenta ancor oggi l’elemento più fine ed elegante di tutta la chiesa, perché sosteneva il cero di Pasqua, che è simbolo di Cristo risorto e luce del mondo. Era sostenuta alla base da tre leoni e da una sfinge riutilizzati i primi due a decoro della cattedra vescovile e gli altri due presso la porta della sagrestia. Entrando in chiesa, infatti, l’attenzione del fedele era attratta da questa colonna molto alta, come la colonna di fuoco che precedeva la carova na degli ebrei nel deserto.
Gesù diceva: “Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sul candeliere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa”.
E’ inconcepibile pensare a un ambone senza la colonna del cero pasquale. Una scritta, riportata sul passamano riutilizzato poi nella transenna che recinge il presbiterio e l’altare, ricorda ancora oggi il nome dell’ artista Paolo, il quale dalla bottega stessa dei Cosmati è definito un “grande’: “Hoc opifex magnusfecit vir nomine Paulus” (Quest’opera è stata eseguita dal grande artefice di nome Paolo).
Il ciborio è lo snello e maestoso baldacchino a copertura dell’altare maggiore, dove si svolge la seconda parte della Messa, concepito a forma di una tenda degli ebrei nel deserto. Sostenuto in alto da due ordini di eleganti colonnine e in basso da quattro grandi colonne in marmo cipollino. con capitelli finemente lavorati, è collocato al centro della chiesa. sotto l’arco trionfale, e incastonato nel grande catino dell’abside. Vuole essere la ricostruzione di quello che era il cosiddetto “Santo dei Santi” nel Tempio di Gerusalemme, cioè il luogo più raccolto e intimo di tutta la basilica, dove si celebrano i sacri Misteri e abita la Divinità. Esso è abbellito da simboli e lampade, occultato da tendaggi, ma al tempo stesso aperto e visibile, per indicarne il mistero e la sacralità. Il cibo- rio costituisce, con il prospetto del sottostante “Martyrium”, dove è il sepolcro del martire Ambrogio, una pregevole opera di Drudo del Trivio (a. 1230). commissionata dal nobile ferentinate Giovanni, arcidiacono di Norwich. I pannelli di copertura, come risulta dalle scritte funerarie dedicatorie ivi incise, sono riutilizzazioni di lastre tombali provenienti da un qualche cimitero paleocristiano della vicina Roma.
Opera illustre è anche la Cattedra Vescovile posta rialzata al centro dell’abside in posizione dominante del presbiterio e di tutta l’assemblea. La cattedra è l’icona plastica e visibile del Magistero dei Vescovi Ferentinati, onorata dalla presenza di tanti pontefici romani, tra i quali ricordiamo Pasquale II, che ha consacrato la chiesa, Innocenzo III, che il 9 Maggio 1203 vi ha canonizzato S. Wulstano, vescovo di Wocester (Inghilterra), Onorio III, che nel 1223 vi ha ricevuto l’imperatore Federico II e Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme per un accordo di crociate; Alessandro III, Gregorio XVI, Pio IX e per ultimo Paolo VI (1° Sett. 1966). Nel catino dell’abside domina in alto la figura del Cristo pantocratore, seduto in cattedra in abiti sacerdotali. Cristo, come sommo sacerdote della nuova Alleanza, riunisce in sé tutto il mondo ed abbatte ogni separazione tra il popolo ebreo, erede dell’antica Promessa, e gli altri popoli pagani, lontani dalla verità, rappresentati dalle due città di Gerusalemme (popolo ebreo) e di Betlemme (i pagani).
Gli affreschi di tutta la chiesa sono stati eseguiti dal Prof. Eugenio Cisterna nel 1904.
Finché dura il gusto spirituale delle cose belle, delle cose sante, delle cose vere, finché si coltiva l’attaccamento alle memorie dei nostri padri e alle tradizioni cittadine, la Cattedrale di Ferentino ha qualcosa da raccontare e da tramandare ai posteri, con il suo campanile che da secoli ripete tre volte al giorno l’annuncio apotropaico che porta inciso a caratteri cubitali sulle sue pietre che hanno sfidato le intemperie dei secoli:
“CHRISTUS REX GLORIAE HOMO DEUS VENIT IN PACE! (CRISTO, RE DELLA GLORIA, DIO FATTO UOMO, VIENE PORTANDO LA PACE!)..
Nel 2008 celebreremo l’anniversario di una Cattedrale ristrutturata e abbellita 900 anni fa con le opere cosmatesche.
Cento anni fa nel periodo 1898 - 1905 furono eseguiti lavori abbastanza imponenti per ripristinare, per quanto si poteva, ciò che aveva distrutto la lunghezza degli anni e il cambiamento di mentalità e di stile del 1693.