Memoria storica del Vescovo Tommaso Leonetti
MEMORIA STORICA DEL VESCOVO TOMMASO LEONETTI redatta nel 1978 su richiesta di don Luigi Di Stefano
edito dal Comune di Ferentino nel 50° Anniversario della fine del secondo conflitto mondiale -- 1944-1994 --
Il Ruolo della Chiesa di Ferentino nel periodo bellico - Breve memoria storica di Mons. Tommaso Leonetti vescovo di Ferentino dal 1942 al 1962
Quaderno di storia n° 13 con la collaborazione della Chiesa di Ferentino -
** nella foto , il vescovo Leonetti partecipa al momento di preghiera prima della cerimonia di benedizione delle nuove campane della chiesa di S.Agata, 5 febbraio 1956. Il momento di preghiera è presieduto dal superiore della Casa guanelliana don Antonio Passone. A lato, sulla sinistra si intravede il parroco, don Luigi Romanò.
Iddio li ha provati e li ha trovati degni di Sé»
I Sap. 3,5.
l "Quando Dio cancella, e perché vuole scrivere qualche cosa" (Bossuet). Alle parole di questo grande e pur lecito aggiungere che in ogni avvenimento è Dio che opera e che dispone, e, come Dio, così gli amici di Dio, che sono i Santi; così, per Ferentino, il Martire e Patrono S. Ambrogio. E’ ovvio che spesso gli interventi dall’alto appaiono misteriosi: e ciò avviene perché "noi leggiamo il mondo a rovescio, e ci lamentiamo di non capire niente" (R. Tagore).
Mi è stato richiesto di stendere qualche ricordo di alcuni avvenimenti che ebbero relazione con Ferentino nel periodo in cui la seconda guerra mondiale si avvicinò alla Città. Furono sofferenze e lutti nei quali tuttavia è possibile scorgere la mano della Provvidenza, che veglia con amore paterno sugli uomini. Cio dovrebbe spingerci a nutrire sempre, con S. Pio X, un’unica ambizione: quella di diventare come bambini
nelle braccia di Dio. E’ con questo intendimento che ho accettato di tracciare alcuni dei molti ricordi di quegli anni.
+ Tommaso Leonetti
Gioventù ardente!
Il 14 aprile 1942 era stata pubblicata la notizia: Ferentino aveva il nuovo Vescovo! Non si sapeva che avevo pregato il Papa, Pio XII, di lasciarmi ancora a fianco del mio Vescovo, ormai più che anziano. Qualche anno prima, con le lacrime agli occhi egli me lo aveva chiesto. E quelle lacrirne - lacrime di un padre ~ m’erano rimaste, come legge, nell’animo. Anche verso una paternità spirituale, avevo scritto al Papa, è valido il comando di Dio: "Onora il padre...". Ma il Vicario di Cristo, con l’autorità suprema di chi rappresenta Dio sulla terra nel campo religioso, mi aveva confermato che, nel caso, la volontà di Dio era quella di condurmi, quale Pastore, a Ferentino.
Nella trepidazione indescrivibile di quei momenti mi giunse, prontissimo, il conforto d’un telegramma: lo inviava, per la Gioventù Cattolica Ferentinate, l’allora Assistente diocesano, Don Alberto Misserville. Quelle vibranti parole facevano accenno al giovane Martire S. Ambrogio, e giungevano, come confortante incoraggiamento e promessa.
E ben presto si comprese che non erano espressioni d’uso. Avevo preso appena contatto con la Diocesi: quando, al termine di una indimenticata e indimenticabile Accademia tenuta nel Salone del Seminario, i Giovani d’Azione Cattolica me lo dimostrarono equivocabilmente. Compreso com’ero della necessità di coltivare lo spirito cristiano d’una popolazione che si mostrava già così promettente, osai avanzare una proposta che avrebbe potuto favorire l’unione degli animi con Roma cristiana, e, nel contempo, la promozione di carità e di opere tra i vari centri diocesani: "Datemi — dissi — 500 abbonamenti a l’Osservatore Romano della Domenica". Avevo appena formulato l’ardita proposta, che un coro unanime e potente mi rispondeva: "Ve ne daremo non 500, ma rnille!" E così fu.
Dalle gelide sterminate lande della Russia m’era giunta la lettera di un soldato Ferentinese: un canto di fede, d’amore, di fiducia in S. Ambrogio. ll quale, lo ricondurrà in patria; e oggi potrà, ancora una volta, leggere qui la mia riconoscenza, per il conforto arrecatomi nelle trepidazioni di quelle prime ore nel portare il peso tremendo dell’episcopato.
“Vicarius amoris Christi"
Il "Vicario dell’amore di Cristo" è il Papa. E il popolo cristiano dimostra di sentire quell’amore. Lo vediamo nell’accorrere delle folle intorno alla venerata persona di Giovanni Paolo II.
Pio XII amava Ferentino, perché Padre, e perché legato sin dagli anni della sua giovinezza, alla persona di Mons. Alessandro Fontana. Me ne parlò in due udienze private. "Lo conoscevo molto bene — mi disse — ; era un santo sacerdote". E, con Mons.Fontana, amava Ferentino. Ricordo benissimo le parole che mi rivolse in un’altro incontro avvenuto nel periodo bellico più cruciale: dopo aver sentito da me il cenno circa le sofferenze, le privazioni, i pericoli, i lutti, il santo Pontefice, durante l’udienza e poi di nuovo nel congedarmi, con voce che tradiva la sua commozione mi diceva: "Tornando a Ferentino, dica al suo popolo che il Papa sente nel proprio cuore le loro pene, tutte le loro pene... glielo dica: io soffro con ognuno di loro, con ognuna delle loro famiglie..."
Quando- potè - e l’occasione si ripetè più volte in quel doloroso periodo - Pio XII aiutò Ferentino, adoperandosi per tener lontani dalla città gli obbiettivi militari, per evitare il temuto sfollamento, per sovvenire quanti non avevano pane... (Cosi come sì adoperò pur prevenendo il diniego brutale di chi dominava la Germania, per sottrarre alla morte l’eroico Don Morosini).
Dentro la bufera
Gli eventi incalzavano: rovesci sul fronte russo, nell’Africa settentrionale, sul suolo della Patria, in Sicilia, a Salemo... Le trepidazioni delle famiglie dei nostri militari crescevano ogni giorno, il pensiero rivolto ai loro figli, forse feriti, certo pericolanti, forse gia trucidati e senza l’onore d’una tomba e d’una croce.
Noi non avevamo ancora sperimentata da vicino la guerra. Venne l’8 settembre 1943. Un bombardamento aereo distrusse, quel giorno, il vicino campo di aviazione. Era giorno di domenica e si stava celebrando, in Cattedrale, la Messa di mezzogiorno. Si corse tutti in gran fretta nel sottostante quadriportico, Carcere di S. Ambrogio ove ormai si dovrà spesso cercare rifugio. Il campo d’aviazione "fu arato" dalle bombe innumerevoli gettate dall’alto: Ferentino, quel giorno, fu risparmiato.
Un Capitano "obbediente"
Ai primi di ottobre ebbi la visita di un soldato tedesco, diretto a Cassino. Non era un vile. Lo dimostravano le due distinzioni avute per due ferite riportate, come mi disse, una sul fronte russo, una nell’Africa del nord. Ora andava a morire (lo diceva con convinzione, edotto dalla esperienza altrui) sul fronte stabilitosi nei pressi di Cassino.
Costui amava l’Italia e soprattutto la Chiesa Romana di cui si sentiva ed era fedelissimo figlio. Ed era anche veritiero; mi diede di ciò prove ineccepibili, che dissiparono pienamente i dubbi, che, in certi incontri, erano in quel tempo troppo naturali, specialmente in chi intendeva tenere lontano dalla Chiesa ogni sospetto.
Così gli potei, senza pericolo di delazione, porre la domanda: cosa si pensasse in Germania, dopo i rovesci subiti, sull’esito della guerra. "La quasi totalità del popolo è convinta che la guerra, per noi, è perduta. Solo i nostri Capi pensano di poterla vincere.
Ma la nostra mentalità è diversa da quella italiana; non so, aggiunse, se la mentalità vostra sia migliore o meno. Noi obbediamo!". Naturalmente mi guardai dal dire che i nostri giovani, posti al bivio di rispondere ai ripetuti minacciosi bandi di richiamo alle armi, o di prendere la via dei monti, avevano scelto la scomoda e certo pericolosa via dei monti.ll Capitano Keller, un Alsaziano di lingua tedesca, era "obbediente". Assunto il comando della piazza di Ferentino, quando una sentinella del campo militare aperto presso la città era rimasta ferita, di notte, egli in osservanza degli ordini superiori pubblicò un bando minaccioso: per ogni offesa o per ogni attentato del genere tredici civili
sarebbero passati per le armi. E, di fatto, fece arrestare tredici innocenti contadini rastrellati nelle vicinanze dell’accampamento. Bisognava salvare quegli innocenti fratelli nostri. Mi procurai perciò un incontro col Capitano. Lo attesi sulla Piazza del Municipio. La provvidenza volle che in quel momento, nel vicino bar, si trovasse un soldato germanico avvinazzato: a parte il fatto che ciò poteva esser causa di disordini, forse anche cruenti, l’episodio poteva servirmi egregiamente al mio scopo.
Intant0 pregai l’interprete, sig, Mercuri, di interessare subito il Keller a far allontanare il soldato: ciò che fu fatto. Poi in un ufficio del Comune, incontrai personalmente il Capitano, trattando con lui in lingua francese ch’egli da buon Alsaziano parlava correttamente. Dopo i convenevoli d’uso (anche tra "nemici"!), dissi al Keller: "Io son qui a domandare non pietà, ma giustizia! E "giustizia", per noi italiani vuol dire salvare gli innocenti, e, semmai, punire i rei. Ora Lei sa che gli arrestati sono innocenti. La prego, li metta in liberta!"Ma un nostro soldato, di notte, a tradimento, è stato ferito". Replicai "Con arma da fuoco o da taglio?" - "Con arma da fuoco", rispose. - "Dunque non è stato ferito da noi! Ci avete requisiti tutte le armi da fuoco..."; il Capitano rimase interdetto; ed io continuai: "Si affaccia dunque un’ipotesi: ai Camerati tedeschi piace molto il vino italiano; Lei l’ha constatato poco fa... pertanto: un milite germanico, in condizioni di ebrietà, torna, di notte, al campo. La sentinella, nel buio imposto dall’oscurarnento totale, gli impone l’"alt ". ll soldato non ebbedisce, anzi le spara e la ferisce. Capitano, Lei sa che gli arrestati sono innocenti: li liberi!". - Questa volta il Capitano
ubbidì alla logica e ai sensi cristiani che nutriva in fondo all’animo (seppi più tardi che il Keller era cattolico). E nei giorni seguenti pose in libertà i tredici arrestati.
Così una fortuita e impreveduta circostanza era servita a salvare tante vite. Caso? Puro caso? E’ preferibile leggere nelle S. Scritture: <<L’uomo propone in cuor suo il cammino ma il Signore guida i suoi passi>> (Pr0v. 26,9) . <<Il "caso" è un soprannome della Provvidenza» (Chamfort, Massimes).
Salviamo S. Ambrogio!
Da alcune zone della Diocesi Ferentinate possiamo ormai assistere di lontano, alla guerra, come si svolse presso Cassino. E ci chiediamo: che cosa sara delle popolazioni civili di quelle terre? Non dobbiamo attendere molto per saperlo: saranno "sfollate": eufemismo per "deportate"! Li vediamo, ormai, tutti i giorni nella nostra città, centro di
"smistamento"; a S. Agata, al Martino Filetico, nella scuola presso l’Episcopio. E sentiamo dalla loro bocca le efferate tragedie che accompagnano le deportazioni. Li aiutiamo come possiamo, dividiamo con loro il nostro scarso pane. E, se, come corre voce,dovessimo essere deportati anche noi? E che sarà della preziosa Reliquia e della statua
equestre di S. Ambrogio? Sara forse requisita come "preda di guerra"? Sarà forse oggetto di profanazione e di furto da parte di gente affamata ... Bisognava salvarla. In un primo momento la caliamo in un sepolcro della Cattedrale. Ma non ci sembra, poi, un rifugio sicuro. - Invitati dal Vescovo, il Canonico
D.Giovanni Polletta e la cara memoria del Sig. Silvio Di Stefano, dopo aver emesso, sui SS. Vangeli, il giuramento di conservare assoluto segreto, scavarono una fossa nel quadriportico del Palazzo Vescovile, e vi deposero la Statua del Santo. Il pensiero era rivolto a Lui: era forse la prima volta , in tanti secoli, che la Reliquia
del Santo, inserita nella base della Statua, entrava nel sotterraneo e tra quelle mura, che furono testimoni di tanta parte del doloroso martirio di Ambrogio! Mentre le ultime palate di ghiaia e terriccio stavano coprendo il sacro deposito, suona l’allarme antiaereo, e la folla si riversa nel consueto rifugio; ma, raccoltasi intor-
no al Vescovo, nessuno si accorse dell’affossamento del Santo Patrono. Il segreto era, nel caso, una necessità. Ma se noi tre, i soli consapevoli del nuovo sepolcro del Santo, fossimo morti, forse sotto i bombardamenti, o nella temuta deportazione? Sotto questo assillante interrogativo corsi a Roma con una pianta del sotterra-
neo, ove in rosso avevo segnato il punto della fossa; consegnai quella pianta, con qualche spiegazione verbale al Pro-segretario di Stato del Papa, Mons. Tardini: nella peggiore delle ipotesi ci sarebbe stato chi avrebbe potuto indicare ai superstiti il luogo della reposizione ("se anche noi, mi disse Mons. Tardini, non saremo tra le vittime della guerra").
Lo sfollamento!
Un illustre oratore sacro (un sacerdote Comense, se non erro) diceva che gli uditori, prima di entrare in chiesa, e d’ascoltare una predica, giurano di capire giusto il contrario di ciò che udiranno. Io non so se possa sottoscriversi tale affermazione. So però che quel giorno, l0 dicembre 1943, la cosa, in qualche modo avvenne. Nella Cattedrale il
compianto Mons. Angelisanti celebrò la Messa mattutina, dinanzi alla grande folla solita (almeno allora) a gremire la chiesa nella festa della Madonna di Loreto; raccomando di pregare per il Vescovo e per il buon esito del tentativo ch’egli si recava, in quelle ore, a fare presso il Comando Tedesco del fronte di guerra, a Rocca di Mezzo, per ottenere
che Ferentino (e le città vicine) fossero rispettate e se ne evitasse lo sfollamento. Due giorni dopo un caro signore di Ferentino chiese ed ebbe una udienza dal Vescovo; era tutto preoccupato per aver sentito dire che io, celebrando la Messa in Cattedrale, il lO dicembre, avevo annunciato che Ferentino doveva sfollare, e molto presto!
Incontri e... scontri!
Nel viaggio verso Rocca di Mezzo, trovammo un intoppo ad Avezzano. Poco prima un bombardamento aereo aveva arato la strada che dal Colle scendeva verso la città. Quanti passavano dovevano fermarsi e armati di pala, al comando d’un milite tedesco, erano costretti a riassettare quello sconvolgimento. A me e al mio interprete (un Padre gesuita di Linz in Austria) non sarebbe costato molto maneggiare una pala... ma il tempo urgeva... - Mostrammo i nostri documenti e in particolare il lasciapassare che eravamo riusciti ad avere dal Generale Meltzer Comandante di Roma. E dopo qualche battibecco e spiegazioni fummo lasciati proseguire per la nostra meta.
Qui, però, non trovammo il Generale Xantier (recatosi in visita del fronte ad Ortona). Potei quindi parlare solo col Colonnello suo aiutante. Gli esposi la nostra richiesta rivolta a ottenere il rispetto delle dette città e ad escludere lo sfollamento, che avveniva, aggiunsi, in forme disumane e crudeli. Non tacqui, anzi usai parole di forte riprovazione narrandogli alcuni episodi tra i peggiori, raccolti dalle labbra degli sfollati
passati per Ferentino: tra l’altro raccontai come una mamma di due fratellini gemelli, rifugiata con la propria madre paralizzata, fu costretta a lasciare uno dei gemelli ("un solo figlio basta !" le aveva gridato il milite tedesco) e la madre nella spelonga ove s’erano rifugiati e come sotto gli occhi della giovane figlia era stato ucciso il vecchio padre perché non resisteva, a causa dell’età, a discendere dal monte con la velocità che il suo aguzzino imponeva! "Episodi - aggiunsi — che, precisati e documentati saranno pubblicati ad infamia di chi li ha commessi..." — Temetti in quel momento di essere arrestato: il Colonnello balzò sul suo seggiolone, minaccioso. Non so: qualche Santo
mi assistette; il Colonnello si ricompose. Comunque capii che bisognava trattare col Comandante Supremo in Italia, Generale Kesselring.
Con l’aiuto del Papa.
Ma cosa poteva ottenere la sola parola d’un umile Vescovo? — Intanto sarebbe stato inutile, con Kesselring, appellarci a motivi umanitari; forse era più opportuno illustrare l’importanza dei monumenti storici ed artistici di Ferentino e delle città vicine. E, comunque sarebbe stato quanto mai utile ottenere l’appoggio della Santa Sede.
Pertanto feci pervenire al Comandante supremo un esposto che illustrava l’importanza storico-artistica sopra accennata. Fu presa in considerazione. Dopo qualche tempo due Ufficiali di Stato Maggiore vennero da me: avevano riscontrato la veridicità dell’esposto e assicuravano che avrebbero espresso parere favorevole alle richieste.
Intanto presi la via per Roma. L’avevo fatta, nei mesi precedenti, già molte volte: e avevo anche fatto il proposito di guardarmene; tanto grave e frequente era il pericolo da parte degli aerei alleati. Ma tant’è, quando il dovere urge, non si da luogo a timori! La bontà paterna di Pio XII ci venne benevolmente incontro. A mezzo del
Segretario di Stato fui autorizzato, quale Segretario della Conferenza episcopale del Lazio Inferiore, di trattare col Gen. Kesselring: e di trattarci, anche "officiosamente" da parte della Santa Sede. Il Kesselring era di religione protestante, ma buono; si capisce, quanto può esserlo, in guerra, un uomo responsabile e tuttavia veramente onesto.
Alcune settimane più tardi l’Ambasciatore Tedesco a Roma, consegnava alla Segreteria di Stato di Sua Santità, la risposta del Kesselring, non senza far osservare verbalmente che il trattamento usato ci sarebbe stato sicuramente disapprovato da Hitler, qualora questi ne fosse venuto a conoscenza.
La decisione del Kesselring fu comunicata ai Comandanti locali. Per Ferentino, me lo confesso il Capitano Keller; e poi vedemmo allontanati da Ferentino e dalle sue terre la Divisione Goering, e le postazioni antiaeree.
La fame
La Chiesa nelle Litanie dei Santi invoca: "O Signore, liberaci dalla peste, dalla fame, dalla Guerra!" Contagio e fame sogliono infatti accompagnare la guerra.
Di fame soffrivano anche le truppe germaniche. La sera del 25 marzo del ’44, un bravo, e per quello che apparve, veramente buon soldato (un Austriaco, della Città di Vienna) aveva condotto me e il Can. Peruzzi ad Amaseno con l’auto del suo Sottotenente fermatosi a S. Agata in Ferentino. Giungemmo a notte tarda. Il vecchio arciprete, Don Cesare Corsi, ci accolse con estrema cortesia e ci preparò un’abbondante cena. Il soldato, estenuato dal forzato digiuno, accetto volentieri di essere nostro commensale e mangiò con appetito; alla fine chiese educatamente di poter prendere ancora del pane e della carne: il giorno seguente, spiegò, doveva tornare a Cassino, e là, disse, le stesse truppe combattenti non ricevevano vitto sufficiente. - Quel buon militare, parlando di Cassino, si commosse pensando che non ne sarebbe ritomato forse vivo; e a questo punto estrasse dal suo portafoglio una fotografia, e mostrandoci
moglie e figli, pianse. Povero, caro giovane sarà scampato alla morte? A dunque anche gli occupanti, nonostante le razzie e requisizioni soffrivano la fame. Tanto più la si soffriva a Ferentino, ove le scarse risorse si dovevano dividere con alcune centinaia di sfollati, pietosamente e fraternamente muniti di certificato di residenza e di tessere annonarie dalle Autorità cittadine, onde sottrarli ad ulteriore deportazione. Meritò del Conte Miccinelli e del Com. Bottini, che, non senza pericolo di sanzioni da parte degli occupanti, avevano fatto quella carità a quegli sventurati fratelli.
Intanto si operava per avere dai Tedeschi buoni di prelevamento di farine: i buoni li avemmo, ma, ci dissero, i mezzi di trasporto procurateli voi! E da chi? mentre tutti ci erano stati requisiti dagli occupanti?
Gli automezzi del Papa
Si sapeva che il Papa aveva messo tutti i mezzi del suo autoparco a disposizione della Citta di Roma, accresciuta all’inverosimile dalla folla dei deportati sottrattisi alla deportazione. Tentare anche noi quella via? Così, il 5 febbraio 1944 mi recai a Roma. Dopo i primi approcci con amici autorevoli tutt’altro che incoraggianti, passai dal mio conterraneo Cardinale Salotti: era
sconfortato! otto giorni prima aveva chiesto lui simile favore per la sua diocesi di Palestrina, e ne aveva ricevuto una negativa. Che potevo far io, che...porporato non ero? Scelsi la via piu ardita: procurarmi una udienza privata col Santo Padre. Aiutato da S.E. Tardini e dall’allora Mons. Montini, la ottenni e seguendo il loro prezioso consiglio, ebbi il bramato assenso del Santo Padre. La mattina seguente, Domenica 6 febbraio, potei annunziare la cosa agli Uomini convenuti in Cattedrale per la loro S. Comunione mensile, riferendo loro le paterne espressioni del Sommo Pontefice, di partecipazione alle nostre sofferenze. All’annunzio li vidi commossi: non pochi si asciugarono le lacrime. Il lunedì, poi, il Cav. Neroni, (che il sabato innanzi poté vedere il Papa, dopo la mia udienza, e riceverne la Benedizione), coi preziosi buoni di prelevamento delle farine, si recava a Roma; poi, con gli automezzi vaticani raggiungeva Spoleto, e faceva il carico della "farina del Papa", come le chiamarono. Cosi per un po di tempo la fame poteva essere, e fu, lenita.
Ancora pioggia di bombe
L’abbiamo accennato: furono molti gli attacchi aerei su Ferentino, e sulle sue vicinanze. Quante date funeste! quanti colpiti, quante vittime, note ed ignote.Gli Alleati, messi dalla S. Sede a conoscenza delle favorevoli disposizioni del Comando nemico, avevano, si, presi impegni. Ma la guerra ha leggi spietate: e i belligeranti avevano subordinato i loro impegni alle ferree e feroci, asserite necessita belliche. Ferentino era attraversata dalla via Casilina, arteria vitale per il Fronte di Cassino e per la prevedibile e preveduta ritirata delle Truppe Tedesche. L’aviazione Alleata doveva interrompere quella via. Ciò che avvenne alla fine di maggio del’ 44, e così impresso negli animi dei superstiti ed anche, per vivace racconto ascoltato dalle loro labbra, dei più giovani che, non occorre ricordarlo particolamiente. Era suonata l’ora nostra! il 24 maggio, ondate successive di "fortezze volanti" riversarono su Ferentino il loro funesto carico. Un ricordo dopo la prima rovinosa ondata
passavamo, con qualche sacerdote, di strada in strada a benedire le Salme dei caduti, a confortare i feriti, a incoraggiare le famiglie piangenti.
Quando giungemmo a Porta S.Agata si profilo nel cielo un altro stormo di aerei: ci rannicchiammo sotto l’arco della Porta, ci demmo reciprocamente l’assoluzione sacramentale "in articulo mortis"...
Volevamo poi proseguire tra le macerie delle case distrutte, quando cominciarono ad esplodere, in mezzo alle macerie, bombe a scoppio ritardato. Dovemmo indietreggiare: urgeva la nostra presenza presso i superstiti; e d’altronde intorno a S. Agata c’era silenzio di morte.
Nel pomeriggio rilevammo dalla Cattedrale e dalle altre chiese cittadine il SS.mo Sacramento, e quando la città era ormai deserta, anche noi ci riversammo nelle campagne.
Ove tutti i giorni, tutte le notti, vivemmo sotto l’incubo dei bombardamenti, dei cannoneggiamenti, dei mitragliamenti. ln uno di essi rimase ferito Mons. Angelisanti,
che dalle Truppe Alleate sara condotto a morire, 20 giorni dopo, nell’ospedale di Giugliano di Napoli: tributo di sangue del Clero diocesano nella funesta ecatombe. Il 24 Maggio 1945 un giovane, un pò zoppicante, proveniente da Napoli si presenta al Vescovo di Ferentino. Era stato gravemente ferito quasi dinnanzi ai miei occhi il 24 maggio 1944, ed era apparso così vicino alla morte che gli avevo dato l’assoluzione sacramentale. Visse, ma non si riebbe appieno se non dopo circa due mesi passati tra la vita e la morte, nell’ospeda1e di Giugliano di Napoli, in un lettino a fianco di quello ove agonizzava e moriva Mons. Angelisanti, senza poter recargli alcun soccorso (come
ora mi diceva) a causa delle gravissime condizioni in cui egli stesso si trovava. ll giovane, rappresentante egregio di tanti forestieri aiutati e salvati in Ferentino nel tristissimo periodo bellico, intendeva, a un anno di distanza, ringraziare dei soccorsi avuti e delle visite fattegli sul luogo del ferimento (nel rifugio del Monastero delle Clarisse) e poi in un casale di Terravalle, ove i suoi ospiti — ins. A. Catracchia e famiglia lo avevano trasferito e donde gli Alleati lo trasferirono a Giugliano di Napoli.
E noi, i superstiti, quali ammaestramenti dobbiamo trarre dagli avvenimenti che abbiamo ricordati?
Ecco: Pio XII, il "nostro" carissimo Papa, già nel 1941 (Radiomesso 29/6/1941) aveva ammonitoz "Per rude che possa apparire la mano del Chirurgo divino quando penetra nelle carni vive, l’operoso Amore n'é guida e impulso; e soltanto il vero bene degli individui e dei popoli, 1o fa intervenire cosi dolorosamente".
La Provvidenza (il "caso", lo ripetiamo, non e che un soprannome della Provvidenza) permise l’immolazione di molti nostri fratelli i quali pagarono anche per noi; e risparmio noi pur facendoci passare per molte tribolazioni. Intendimento di Dio, misterioso, forse, per i colpiti a morte, evidente per i superstiti, fu ed e il "vero bene" di tutti e della città di Ferentino e della sua diocesi. E’ questo "vero bene" (l’amicizia di Dio, che ci deve condurre alla felicità eterna) e questo che sta a cuore al Santo Patrono con animo consapevole e convinto cantiamogli sempre le belle invocazioni ereditate dai nostri padri: "Ambrogio liberateci da tutti li malori — al Cielo conduceteci tra li beati cori".
Memoria scritta dal Vescovo Leonetti nel 1978 su richiesta del sacerdote Luigi Di Stefano.
Biografia di MONS. TOMMASO LEONETTI
Vescovo di Ferentino dal 15 Agosto 1942 al 10 Luglio 1962
Nato a Montefiascone (Viterbo) il 15 Aprile 1902. Ha compiuto gli studi presso il Seminario Diocesano di Montefiascone ed il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni in cui termina gli studi con il titolo di Laureato in Teologia.
Viene ordinato sacerdote nella Cattedrale di Montefiascone l'll Aprile 1925; Dal 1925 al 1938 ricopre l’incarico di segretario del vescovo Mons. Giovanni Rosi e di Cancelliere Vescovile. A varie riprese secondo l’occorrenza ha compiuto l’ufficio di coadiutore festivo in varie chiese della città. E’ stato anche notaio nel processo di esumazione della salma
di Suor Lucia Filippini e nel processo ordinario per il Card.Barbarigo. Nel Dicembre 1937 fu eletto Canonico Teologo nella Cattedrale. Nel mese di Settembre 1938 è nominato Rettore del Seminario Diocesano, in cui già insegnava Lettere dal 1929.
Nel Novembre 1938 riceve l’incarico di Delegato Vescovile della Diocesi.
Eletto Vescovo di Ferentino il 14 Aprile 1942, come successore di Mons. Alessandro Fontana e consacrato vescovo nella Cattedrale di Montefiascone il 31
Maggio 1942 da Mons. Giovanni Rosi. Fa il suo ingresso in Diocesi il 15 Agosto 1942.
Giovane Vescovo si trova ad affrontare tutte le prove del periodo bellico, prima come difensore della incolumità della città, poi come fautore della sua ricostruzione
morale e materiale. Gli anni 1950 — 1960 lo vedono intento ad attività varie di formazione religiosa della sua Diocesi, fomentando in maniera forte ed efficace l’associazionismo nelle parrocchie e realizzando la costruzione o ricostruzione di chiese nelle campagne.
ll 10 Luglio 1962 e trasferito alla sede arcivescovile di Capua, di cui prende possesso il 15 Settembre 1962.
ln varie riprese è stato Amministratore Apostolico di Anagni, Veroli, Caserta,Caiazzo e di Ferentino stessa dal 10 Luglio al 30 Settembre 1962, prima della presa di
possesso di Mons. Costantino Caminada suo successore nella Cattedrale di Ferentino.
Si dimette da arcivescovo di Capua per raggiunti limiti di eta il 1° Marzo 1978.
Muore il 28 Dicembre 1981 nel Palazzo Arcivescovile di Capua, ed é sepolto nella cripta della Cattedrale di Montefiascone.
ARCHIVIO COMUNALE D1 FERENTINO
1. Ferentino, 29 aprile 1964
ll Consiglie Comunale conferisce al Vescovo Mens. Tommase Leonetti la cittadinanza
onoraria con la seguente metivazione:
<<Eccellenza Mons. Tommase Leonetti, nato a Montefiascone il 14 aprile 1902, consacrato Vescovo
di Ferentino il 31 maggio 1942, trasferito nella Sede Arcivescovile di Capua il 10 luglio 1962.
Ferentino fedele lo accolse, piena di attese; mandato da Dio in un indimenticabile tripudio di
popolo nel vespero sacro all’Assunta dell’anno 1942: si era nel colmo della guerra. Solo alcuni mesi
dopo, l’immane flagello travolse anche la nostra regione e infierì accanitamente contro la nostra Città;
il Vescovo Leonetti dispiegò allora in ardite iniziative la profonda, sacerdotale carità del Suo nobile
cuore di Padre e Pastore di anime. Aprì le porte del Seminario ai giovani per sottrarli alle razzie dell’invasore; accolse, talvolta, tra le mura dell’Episcopio chi, in quei tragici momenti, si appellava alla Sua
paterna discrezione; protesse, con la forza della Sua Autorità, i cittadini indifesi contro i soprusi del prepotente; con l’offerta di se stesso in ostaggio scongiuro ad innocenti cittadini tragiche conseguenze
di errori. Quando la Città divenne contro di smistamento di fratelli strappati a forza dalle zone di guerra, si predige in tutti i medi per lenire la esasperazione di chi tutto aveva perduto. ln pieno inverno affrontò,
tra mille difficoltà, un fortunoso viaggio per la città di Abruzzo Rocca di Mezze, sede del Comando Militare tedesco, per prospettare, forte anche dell’adesione degli Ecc.mi Vescovi e della approvazione della Segreteria di Stato, la veneranda antichità e importanza archeologica delle quattro città pelasgiche di Ferentino, Anagni, Alatri e Veroli, onde tenerne lontano obiettivi di guerra. Al Comando tedesco parlò allora con molta libertà contro i metodi barbari usati con i poveri fratelli sfollati, ottenendo assicurazione di più umano trattamento. Chi non ricorda il Vescovo Tommaso Leonetti accorrere per primo
tra le rovine ancora fumanti delle città sconvolte dai bombardamenti per portare alle vittime il segno di cristiano suffragio, ai feriti i soccorsi del caso, ai superstiti parole di incoraggiamento? Chi non lo rivede ancora quotidiano pellegrino per le nostre campagne per recare a tutti il conforto della Sua presenza e infondere nei cuori forza e fiducia a sopportare i disagi dell’ora? Ad alleviare la carenza di generi alimentari, in una commovente Udienza concessagli dal Cuore magnanimo di Pio XII, chiese ed ottenne l’uso di autemezzi Vaticani per procurare alla Città ed altri Paesi della Diocesi il fabbisogno di grano e di pasta, potendo così per qualche mese assicurare il minimo indispensabile alla maggior parte della popolazione.
Se grande si staglia sullo sfondo delle ore tragiche della guerra combattuta la figura del Vescovo Leonetti, non meno luminosa fu l’azione di Lui come Maestro e Padre in Cristo, quando, passata la tempesta, si trattò di riorganizzare tutta la vita cittadina: il problema di famiglie turbate, di giovani smarriti, di piccoli che chiedevano il pane trovò una eco immediata e generosa nel suo animo caldo del fuoco della carità di Cristo.
Mons. Leonetti ebbe altresi viva l’ansia di far giungere con rispettosa discreziene, dove il bisogno lo richiedesse, i possibili soccorsi in viveri e in denaro, per mitigare la disagiata coendizione di tante
famiglie >>.
IL CONSIGLIO
Udita l’esposizione del Presidente
Ritenute doversi conferire a S.E. Mons. Tommaso Leonetti, Arcivescovo di Capua, l’attestato
più solenne della gratitudine dell’intera cittadinanza
Ad unanimità
DELIBERA
di conferire a S.E.Mons. Tommaso Leonetti, Arcivescoo di Capua, la cittadinanza onoraria di
Ferentino.