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Omelia di don Umberto Brugnoni ai funerali di don Rocco

  • Omelie

La mattina del 23 aprile alle ore 5 una delagazione di parrocchiani presieduta dal parroco don Giuseppe è partita alla volta di Ceglie (Puglia) per commemorare la Salma del caro don Rocco. Alle ore 16.30 si sono svolti i funerali presso la chiesa parrocchiale Maria Immacolata di Ceglie Messapica. Alla stessa ora nella nostra parrocchia un suono di campana ci metteva simbolicamente e spiritualmente in unione con quanto veniva celebrato. Di seguito l'omelia tenuta dal Vicario generale dell'Opera don Guanella don Umberto Brugnoni.

FUNERALE DON ROCCO GIGLIOLA

Ceglie Messapica, 23 aprile 2010

 

 

prime-comunioni-2005-1Stiamo per entrare ormai nella Domenica di Pasqua del Buon Pastore, la Domenica consacrata alla preghiera per le Vocazioni sacerdotali e religiose e la prima lettura della liturgia della Parola odierna ci ha presentato la chiamata dell’apostolo Paolo in un contesto tutto particolare. Paolo, l'accanito persecutore dei cristiani, viene folgorato dalla grazia di Dio proprio mentre sta dando libero sfogo alla sua avversione verso quella che considera una perniciosa eresia da sradicare prima che prenda troppo piede. È Gesù stesso a bloccarlo sulla via di Damasco con una visione che gli fa prendere atto della terribile cecità in cui si dibatte il suo spirito.

Il suo animo è ormai orientato verso la verità: non oppone più resistenza a chi prima perseguitava spietatamente. Solo si permette una domanda: chi sei, o Signore? Poi la resa incondizionata. Eppure per riacquistare la vista Paolo ha bisogno di incontrarsi con Anania. È la tattica di Dio: egli si serve delle mediazioni, coinvolge l'uomo per soccorrere chi cerca la luce.


 

Questa bella pagina degli Atti degli Apostoli ci pone davanti al dono e al mistero della chiamata, di ogni chiamata: perchè fondamentalmente il Dio di Gesù di Nazareth è un Dio che chiama ancora e sempre l’uomo ad essere collaboratore del Figlio. Egli chiama ciascuno per nome, ci fa emergere dal nulla, dando un volto ben definito a ciascuno. Ognuno è se stesso: unico, irrepetibile. Da sempre Dio lo ha sognato così. E in quel nome una chiamata, che è la mia, solo mia. "Ne scelse dodici ai quali diede il nome di apostoli". Dodici. Eppure la vocazione di Pietro non è quella di Andrea, né quella di Paolo e degli altri apostoli, perché Simon Pietro dall'eternità era nel cuore di Dio come Simon Pietro, quel Pietro impulsivo pieno di slanci eppure tanto fragile, quel Pietro che rinnegherà il Maestro, ma che poi sarà capace di versare il sangue per il Signore. Quel Pietro che avrà il compito di confermare gli altri e a cui saranno affidate le chiavi del Regno... Così per ogni uomo... per me, per te, per ciascuno di noi, per don Rocco. Chiamati da sempre, perché da sempre sognati così, con quel volto, con quello specifico compito da svolgere nella vita, che non può essere distinto da quello che siamo.

Io infatti non ho una vocazione: io sono la mia vocazione. Quella voce che mi ha tratto dal nulla, che mi ha dato un volto nel momento stesso in cui in un atto di infinita tenerezza pronunciava il mio nome, quella voce mi ha chiamato ad "essere sì, ma per un compito, una missione".

E’ stupendo miei cari amici fermarsi proprio qui davanti alla salma di un chiamato che ha portato a termine la sua corsa terrena nella fedeltà a quel “se vuoi, seguimi!” di almeno 50 anni fa’, fermarsi anche per un solo attimo a pensare con certezza che ciascuno di noi è stato voluto da Dio perché amato da Dio così come ciascuno di noi è’.

Come possiamo allora non amarci, non accettarci anche nei nostri limiti, come possiamo non amare la nostra vocazione? Come possiamo non esplodere di gioia? Sì, quella voce di cui serbiamo in cuore l'eco con nostalgia profonda, quella voce che ci ha chiamati a seguirlo, quella voce che, come dice il profeta, ci ha sedotti, ma anche che ci ha creato dentro la voglia di lasciarci sedurre da Lui, ebbene quella voce continua a chiamarci alla gioia, alla vita, alla pienezza della nostra esistenza come preti, consacrate, cristiani impegnati a vivere con coerenza il Vangelo. E anche quando questa voce ci invita, come oggi ha chiamato don Rocco, ad abbandonare tutto e partire per il viaggio della eternità, questa voce non è voce di fallimento, di distruzione, di annientamento, di un tutto ormai è finito, è invece una voce di serenità, di pace, di perfezione, di vita che continua in Lui e con Lui che è l’Eterno. E’ la tranquillità di cui parla Sant’Agostino quando raggiungiamo il Signore e ci perdiamo in Lui: “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto fino a che non riposerà in te”.

Non è dunque un controsenso davanti alle spoglie di un sacerdote, servo della carità, che oggi vogliamo presentare a Dio con gratitudine per quello che ha saputo fare di bello e di grande nella sua vita, non è un controsenso ridire da parte di tutti noi il “sì” della adesione fiduciosa e sicura al Signore che proprio perché ci ama ci ha chiamati ad essere sui collaboratori.

Dal nostro sì, dalla nostra disponibilità dipende in parte la salvezza di chi stenta a credere. Uomini e donne i cui occhi sono spenti, accecati da tante luci illusorie che poi lasciano delusi e amareggiati. Uomini e donne che forse come Paolo e come tanti cristiani di oggi si scagliano contro la Chiesa, contro Colui che in fondo non conoscono. La nostra reazione può ricalcare quella iniziale di Anania: "Ho udito tutto il male che ha fatto". Una reazione più che giustificata che spinge a mettersi al sicuro. Ma non la pensa così il Signore. Egli è venuto perché tutti, proprio tutti abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. E in questo vuole essere affiancato da noi che per primi siamo stati raggiunti dalla sua grazia. Un dono, sicuramente, ma non un privilegio da gestire arbitrariamente. Se siamo stati chiamati alla sua sequela è per diventare luce e sale della terra. E dove si accende una luce se non là dove le tenebre incombono?

Caro don Rocco nella tua bella immaginetta ricordo della tua Ordinazione sacerdotale del 29 giugno 1964, era l’anno della Beatificazione di don Luigi Guanella, avevi fatto scrivere: “Fratelli, gioite con me, oggi, sono diventato Cristo”.

La tua vita si è impegnata a raffigurare sempre al meglio l’identità sacerdotale che ti era stata data come dono di predilezione dal Signore. Hai saputo essere sale e luce del Vangelo in molte circostanze della tua vita. A quanta gente di questo popolo qui presente, come Anania per Paolo, hai donato una tua parola, un tuo gesto, un sacramento che ha portato luce e significato nel loro cuore. E noi oggi vogliamo continuare a gioire con te e per te che entri nella pienezza della vita per la quale sei nato, hai vissuto amando e soffrendo.

Dalla tua vita desideriamo anche cogliere due messaggi come memoria di te e come tua eredità spirituale da continuare in noi:

1). Ti sei sempre segnalato per spirito evangelico nell’accoglienza e nell’ospitalità. Questa nota, già virtù naturale in alta considerazione nella tua terra di Puglia, fu da te elevata a mistero grande radicandola nella pagina evangelica tanto cara a don Guanella: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete…» (Mt 25, 35sq.; cfr. L. Guanella, R SdC 1910, Opera Omnia, vol. IV, p. 1233). Nella richiesta di ospitalità hai saputo udire e capire il grido di situazioni e problemi di estremo dramma, che si appellavano alla tua solidarietà e al tuo soccorso immediato, senza dover delegare o rimandare a chi di dovere. Anche questa la vivevi come una chiamata del Dio che amavi e non che potevi misconoscere nei volti più poveri, ma più somiglianti al suo.

 

2). Hai sempre amato il bello, le cose belle, non il ricercato, non il frutto di spese folli, no, ma la ricerca del bello in tutto e in tutti come elemento che porta a riconoscere l’opera di Dio e può portare anche a Dio.

Ricordo che proprio nella sala del caminetto a Ferentino una sera del Triduo del Santo Crocifisso tanto venerato nella chiesa di Sant’Agata dove tu per 13 anni (1992-2005) sei stato parroco, mi hai fatto accostare quel brano stupendo di Agostino sulla bellezza di Gesù sia a Betlemme, come al Calvario, quando il suo volto deformato dalla flagellazione e dalle percosse era comunque sempre bello!

«Bello è Dio, Verbo presso Dio [...]. È bello in cielo, bello in terra; bello nel seno, bello nelle braccia dei genitori, bello nei miracoli, bello nei supplizi; bello nell'invitare alla vita e bello nel non curarsi della morte; bello nell'abbandonare la vita e bello nel riprenderla; bello nella Croce, bello nel sepolcro, bello nel cielo. Ascoltate il cantico con intelligenza, e la debolezza della carne non distolga i vostri occhi dallo splendore della sua bellezza». Sì nella persona del Cristo infatti, tu, hai saputo contemplare il divino e l’umano, “le cose del cielo e quelle della terra” riappacificate tra loro. Il Crocifisso è l’unica via lungo la quale bellezza e verità possono camminare insieme, pacificamente. Paradossalmente, mi hai fatto capire, che realmente è il volto sfigurato di Cristo Crocifisso l’immagine della bellezza divina: la bellezza dell’amore che arriva sino alla fine, che esce da sé stesso, che s’abbassa e si dona gratuitamente per noi . Ecco una bellezza crocifissa, miei cari, che dobbiamo imparare a vedere e soprattutto ad incarnare ciascuno nella nostra vita, quasi in continuità di un testamento spirituale che don Rocco oggi lascia a ciascuno di noi. Amen.

 

“La persona consacrata, nelle varie forme di vita suscitate dallo Spirito lungo il corso della storia, fa esperienza della verità di Dio-Amore in modo tanto più immediato e profondo quanto più si pone sotto la Croce di Cristo. Colui che nella sua morte appare agli occhi umani sfigurato e senza bellezza tanto da indurre gli astanti a coprirsi il volto (cfr Is 53, 2-3), proprio sulla Croce manifesta pienamente la bellezza e la potenza dell'amore di Dio.

 

 

La vita consacrata rispecchia questo splendore dell'amore, perché confessa, con la sua fedeltà al mistero della Croce, di credere e di vivere dell'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. In questo modo essa contribuisce a tener viva nella Chiesa la coscienza che la Croce è la sovrabbondanza dell'amore di Dio che trabocca su questo mondo, è il grande segno della presenza salvifica di Cristo. E ciò specialmente nelle difficoltà e nelle prove.” (Vita Consecrata n. 24)