Breve guida di Ferentino: La Cattedrale
La co-Cattedrale di Ferentino (in Ciociaria)
(note storiche a cura di Maria Teresa Valeri)
Sull’acropoli romana sorge la cattedrale di Ferentino, dedicata ai fratelli martiri romani Giovanni e Paolo. Essa fu costruita nelle forme attuali tra il 1106 e il 1113 durante l’episcopato di Agostino, di origine campana e già monaco benedettino di Casamari. La basilica è stata la cattedrale della Diocesi di Ferentino fino al 30 settembre del 1986, quando venne costituita la Diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino.
La chiesa ha una semplice facciata a spioventi con tre porte architravate, sormontate da lunette semicircolari, le cui cornici presentano motivi decorativi noti anche nell’architettura romanica della Campania. La compatta superficie muraria della facciata è alleggerita sulla porta maggiore da una monofora, ingentilita da una elegante cornice marmorea in forma di esile colonnina a fusto liscio. Dalla chiarezza geometrica della facciata è facile intuire la suddivisione spaziale dell’interno della chiesa. Le tre porte introducono a tre navate, di cui la centrale è maggiore delle laterali.
Le tre navate della chiesa hanno absidi curvilinee, che all’esterno mostrano le sobrie ed eleganti decorazioni tipiche del romanico lombardo: archetti pensili, sorretti da mensoline con motivi vegetali e simbolici, e semplici lesene, che regolarizzano geometricamente la curvilinea superficie esterna dell’abside centrale. Al centro della parete esterna di quest’ultima si apre una monofora, che per dimensioni, forma e foggia decorativa è simile alla monofora, che si apre in facciata.
Il pavimento cosmatesco
La pavimentazione musiva risale ai secoli XII-XIII, opera di Giacomo della famiglia romana dei Cosmati, come riferisce il Liber cum serie episcoporum, manoscritto settecentesco conservato nell’archivio vescovile di Ferentino, e opera del magister Paulus, come recita l’epigrafe incisa su un pluteo delle transenne, che delimitano l’attuale presbiterio rialzato. L’epigrafe ricorda anche che ad opera del vescovo Agostino, vissuto durante il pontificato di Pasquale II (1099-1118), le reliquie del martire Ambrogio, che erano state rinvenute al tempo di Pasquale I (917-824), furono collocate sotto l’altare (HOC OPIFEX MAGNVS FECIT VIR NOMINE PAVLUS / MARTIR MIRIFICVS IACET HIC AMBROSIVS INTVS / PRESVL ERAT SVMMVS PASCHALIS PAPA SECVNDVS / QVANDO SVB ALTARI SACRA MARTIRIS OSSA LOCAVIT / AECCLEA PASTOR PIVS AVGVSTINVS ET ACTOR / PRIMITVS INVENTVS FVERIT QVO TEMPORE SCS (SI L)IBET INQVIRI PASCHALIS TEMPORE PRIMI / MARTIRIS IN PVLCHRO DOCVIT SCRIPTA SEPVLC /).
Nel mezzo della navata centrale il pavimento è rialzato di un gradino, probabile testimonianza di una perduta schola cantorum, delimitata da transenne marmoree. Nei restauri, conclusi nel 1905, sotto l’altare maggiore fu costruito un piccolo sacello, dove custodire le reliquie venerate del Santo Patrono della Diocesi di Ferentino, il centurione Ambrogio, martire durante la persecuzione di Diocleziano nel 303, in onore del quale si celebra la festa cittadina ogni 1° maggio. Prima dei restauri le reliquie del Martire erano venerate sotto l’altare della “cappella”, a lui dedicata, che era nella navata destra. In essa nel sec. XVI la Confraternita dello Spirito Santo esercitava il diritto di giuspatronato [B. VALERI, La cattedrale di Ferentino, in Lunario Romano 1987: Cattedrali del Lazio, Roma 1986, pp. 224; 228, nota 2].
Oltre alla sontuosa pavimentazione cosmatesca, l’interno della cattedrale è arricchito da numerose opere di indiscusso valore artistico.
A. Il candelabro tortile cosmatesco
Di proporzioni monumentali e di raffinata fattura conserva ancora buona parte dell’originaria decorazione musiva. Ai colori rosso, verde e blu si associa la sfavillante luminosità dell’oro. Il cero pasquale è richiamo efficace alla “colonna di fuoco”, che nell’esodo degli Israeliti dall’Egitto illuminava la notte nel deserto, indicando la strada per fuggire dalla schiavitù e raggiungere la libertà nella Terra promessa (Es 13, 21-22).
B. Il ciborio di Drudus de Trivio
Datato al periodo tra il 1228 e il 1240 è opera del marmorario Drudo de Trivio. Due lastre della cuspide provengono certamente dalle catacombe romane, come dimostrano i testi epigrafici in esse incisi.
Sulle facce interne dell’architrave maggiore del ciborio sono incise due iscrizioni:
1.sul lato frontale: ARCHILEVITA FVIT NORWICI HAC VRBE IOH(anni)S NOBILI EX GENE(re). Si tratta di un Giovanni, arcidiacono di Norwich (Inghilterra), appartenente ad una nobile famiglia di Ferentino. Forse il committente dell’opera o colui che consacrò il nuovo altare;
2.sulla superficie interna dell’architrave nel lato dell’abside: MAGISTER DRVDVS DE TRIVIO CIVIS ROMANVS FECIT HOC OPVS. Documenta il nome dell’abile marmorario artefice del ciborio, Drudo di Trevi.
Delimitano l’altare quattro snelle colonne a fusto liscio, sormontate da capitelli di pregevole fattura: il capitello a vista, sul lato frontale, è decorato da tre teste animali e da una testa di uomo dai caratteri somatici accentuati (mento ampio e fronte bassa, forse l’autoritratto dell’autore). I capitelli sorreggono un architrave decorato da una sottile ed elegante fascia a mosaico a piccole stelle e a sua volta sormontato da piccole colonne a fusto liscio con capitelli (otto per lato). Dalla pianta quadrata dell’architrave la struttura del ciborio passa alla pianta ottagonale della cuspide, che poggia su colonnine a fusto liscio (4 per lato) ed è composta da lastre marmoree. L’ampia cuspide ottagonale, tronca alla sommità, è coronata da una fascia a pianta quadrata di colonnine simili alle precedenti (quattro per lato), che sostengono a loro volta un architrave, su cui si imposta una seconda e più piccola cuspide piramidale a base ottagonale, conclusa dal globo marmoreo sormontato dalla croce.
La ripetizione costante della pianta quadrata e ottagonale, come del numero 4 e 8 delle colonnine induce a riflettere sul valore simbolico della struttura del ciborio ferentinate. Il numero 4 è riferimento ai quattro Vangeli, il numero 8 all’ogdoade, cioè l’ottavo giorno, quello della Resurrezione e dell’inizio della vita senza fine.
C. Il ciborio parietale quattrocentesco
Pregevole è anche il ciborio marmoreo parietale del secolo XV, che è murato nella parete prossima all’abside laterale sinistra, occupata oggi
dall’altare del SS. Sacramento. Il tabernacolo marmoreo originariamente doveva custodire le Specie Eucaristiche, ma nel secolo XVI era utilizzato come custodia degli Oli Sacri [B. VALERI, La cattedrale di Ferentino, cit., p. 224].
Il ciborio, realizzato in bassorilievo, ha la forma di tempietto classico ed è attribuito per analogie stilistiche alla scuola di Mino da Fiesole o di Desiderio da Settignano.
I due pilastrini laterali, decorati da eleganti motivi vegetali, sorreggono con i loro capitelli compositi la trabeazione di tipo ionico, sormontata da un timpano triangolare. Il frontone è occupato quasi interamente dalla colomba simbolo dello Spirito Santo.
Due angeli con la tunica svolazzante fiancheggiano un monumentale tabernacolo rettangolare, sollevato da terra tramite un esile supporto e sulla cui sommità è raffigurata la statua di Cristo risorto, che regge la croce. Gli angeli, con le braccia incrociate sul petto, adorano il pane eucaristico conservato nel tabernacolo.
L’iscrizione latina, incisa sulla trabeazione dell’edicola, recita: PINGVIS . EST . PANIS . XPI (Christi): ricco di nutrimento è il pane di Cristo.
Un’altra iscrizione alla base dell’edicola ricorda il committente dell’opera, il vescovo di Ferentino De Philippinis.
L’iconografia degli inizi del XX secolo
La decorazione pittorica dell’interno della cattedrale risale ai primi anni del XX secolo (1904). Gli affreschi sono opera di Eugenio Cisterna.
Lungo le pareti della navata centrale sono raffigurati i maggiori Santi titolari delle chiese ferentinati e dei centri della diocesi.
Gli affreschi dell’abside e dell’arco trionfale
Eugenio Cisterna fu incaricato dall’Ordinario di allora, mons. Domenico Bianconi, di sostituire ai dipinti seicenteschi dell’abside un nuovo repertorio di immagini sacre per comunicare con chiarezza i temi fondamentali della Storia della Salvezza.
Al centro del catino absidale Gesù salvatore del mondo è seduto in trono nella veste di Cristo giudice con le braccia allargate in gesto di accoglienza. Egli mostra i fori delle mani, indossa una bianca veste. La “mandorla”, simbolo di eternità e di gloria, circonda la figura luminosa del Cristo Re e Redentore. Ai piedi di Gesù ci sono due cherubini e due serafini. Il serafino di sinistra ha il piumaggio delle ali di colore azzurro e quello di destra, invece, di colore rosso, richiamo al valore simbolico di tali colori: il rosso, infatti, rappresenta la regalità e la natura divina del Cristo, mentre il blu ne rappresenta la natura umana.
Disposti simmetricamente ai lati di Gesù sono raffigurati angeli in bianche vesti e con le ali variopinte. Essi con i loro attributi e gesti aiutano a riconoscere in Gesù il Cristo Re e Signore del mondo e della Storia: alcuni angeli reggono il globo decorato con la croce e con le lettere greche IC (Gesù) e XC (Cristo); altri reggono il Libro della Legge o sono in atto di adorazione. Nuvole rosse sollevano gli angeli dal prato fiorito, dal cui centro escono i fiumi paradisiaci, che irrorano la terra.
Dietro le figure del Cristo e degli angeli è rappresentata una cinta muraria, oltre la quale emergono a sinistra la città di Betlemme, simbolo della Chiesa dei gentili perché in essa giunsero i Magi per adorare Gesù, e a destra la città di Gerusalemme, simbolo della Chiesa giudaica. La rappresentazione di Gerusalemme è dominata da un edificio monumentale a pianta centrale con copertura a cupola sorretta da arcate, che probabilmente riecheggia proprio la struttura architettonica dell’Anastasis (luogo della resurrezione) gerosolimitana.
Nel cielo azzurro, solcato da nubi rosate, le figure simboliche degli Evangelisti si dispongono in ordine simmetrico rispetto alla figura maestosa del Cristo. Sulla sommità del catino un velario variopinto, aperto a ventaglio, rappresenta la presenza del Creatore.
Nella parete absidale l’affresco presenta la raffigurazione dei Santi venerati dalla Comunità ferentinate: entro arcate centinate sono dipinti, a partire da sinistra, i martiri titolari della Basilica, i fratelli romani Giovanni e Paolo, il martire Ambrogio Centurione, Patrono della Diocesi, e S. Redento, riconosciuto quale antico vescovo di Ferentino.
Nell’arco trionfale campeggia la rappresentazione dell’Incarnazione, che, manifestazione dell’Amore supremo di Dio per l’Uomo, costituisce l’evento fondamentale per la nostra adozione a Figli di Dio e per la Redenzione del genere umano.
Al centro della parete, entro un clipeo definito da serafini e stelle, sono raffigurate la Persona del Padre creatore benedicente, il cui volto barbato è affiancato dalle lettere apocalittiche A e Ω, e la colomba mistica dello Spirito Santo, da cui si dipartono raggi dorati, che raggiungono la flessuosa figura di Maria.
La Vergine è rappresentata sul lato destro, davanti ad un edificio e nell’atto di cogliere un giglio dal giardino fiorito, in cui Ella si trova. L’edificio alle spalle di Maria ha una porta, oltre la quale si intravede emergere dallo sfondo rossastro la sagoma scura di una donna seduta con in mano un rotolo: allusione alla consuetudine della Vergine di Nazaret alla lettura del testo sacro e alla preghiera, colloquio intimo con Dio.
Sul lato opposto della parete è raffigurato l’angelo Gabriele con sei ali variopinte, il quale, sollevato da terra, sembra appena giunto in volo, spinto da un vento leggero, di cui le piccole nubi rosse suggeriscono il percorso. Le frasi evangeliche dell’Annuncio e della risposta di Maria sono dipinte in lettere cubitali dorate sull’azzurro del cielo. Un arcobaleno congiunge le figure dell’Angelo, di Dio Padre e di Dio Spirito con quella della Vergine. La tenda, che è raffigurata nello sfondo, assume allora il significato simbolico di richiamo all’Arca della Alleanza.
La decorazione dell’arco trionfale è completata negli spazi triangolari di risulta, fiancheggianti le reni dell’arco del catino absidale, dalle raffigurazioni dello stemma episcopale del Vescovo Bianconi, a destra, e dello stemma pontificio di Pio X, a sinistra.
Le absidi laterali
Al Cisterna si devono anche gli affreschi che ornano le absidi delle navate laterali.
L’affresco dell’abside sinistra raffigura nel catino il cielo stellato con al vertice la conchiglia simbolo dell’Eterno; nella parete absidale è raffigurato Gesù bambino, che, con in mano il libro del vangelo, è seduto in trono ed è fiancheggiato da Maria e Giuseppe in piedi ai suoi lati (episodio evangelico del ritrovamento di Gesù tra i dottori nel tempio).
Nel catino dell’abside destra è riprodotto il cielo illuminato da stelle d’oro, che sovrasta le due città di Gerusalemme e Betlemme affiancate ciascuna da una palma, visibili in secondo piano oltre il muro, che al centro ha il trono, davanti al quale è raffigurato Gesù, dalla barba e capelli lunghi, nell’atto di donare le chiavi del Regno a S. Pietro, inginocchiato alla sua destra. (Mt 16, 18-19). Un angelo dalle ali variopinte è inginocchiato alla sinistra di Gesù, in atto di reggere la mitria pontificia mentre osserva la scena della Traditio, sottolineata dall’iscrizione latina SVPER HANC PETRAM AEDIFICABO ECCLESIAM MEAM (Mt 16, 18).
La sacrestia
La porta di accesso alla sacrestia è ornata da una sfinge e da un leone stilofori, da mensole medievali in foggia di teste coronate. Tra queste di particolare interesse è quella che la tradizione vuole essere il ritratto del re Giovanni di Brienne, suocero dell’imperatore svevo Federico II: sotto il mento barbato è scolpito il muso di una civetta, classico attributo della dea Athena e chiaro simbolo della lungimiranza e del discernimento, qualità indispensabili per assicurare il corretto esercizio del potere.
All’interno della sacrestia si conservano i pregevoli resti architettonici di un ciborio altomedievale, le cui lastre sono scolpite a bassorilievo con i motivi geometrici di evidente ispirazione “longobarda”. Una delle lastre del ciborio altomedievale presenta caratteri iconografici e preziosi elementi simbolici, che la propongono come quella frontale dell’antico ciborio. Il bel motivo a treccia, che decora la ghiera dell’arco a tutto sesto, è tipico segno allusivo all’eternità di Dio; negli spazi triangolari di risulta tra l’arco e i margini esterni della lastra sono raffigurati in stile naturalistico due pavoni, tradizionale simbolo dell’immortalità; la parte alta della lastra presenta, infine, decorazioni stilizzate di fiori di giglio e dinamiche onde ornamentali, disposte su due fasce orizzontali sovrapposte.
In occasione dei già citati restauri ottocenteschi venne trasferito nella sacrestia il monumento funebre parietale settecentesco del vescovo ferentinate mons. Fabrizio Borgia, opera del genovese Francesco Queirolo (1705-1762), originariamente murato per volontà del Vescovo committente tra i due pilastri della zona presbiteriale, a destra dell’altare maggiore.