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150° dall'arrivo in Egitto della Beata Caterina Troiani

  • Ferentino

beata-caterina-troianiCATERINA TROIANI:  UNA VITA ALL’OMBRA DELLA CROCE


in occasione del 150° anniversario dell'arrivo della Beata Caterina Troiani in Egitto pubblichiamo in esclusiva il seguente articolo per gentile concessione della prof.ssa Biancamaria Valeri. Esso è da preludio ai prossimi festeggiamenti per la Beata Caterina Troiani presso il convento delle suore francescane missionarie del Cuore Immacolato di Maria di Ferentino.

Note storiche a 150 anni dall’arrivo in Egitto

di Biancamaria Valeri

Ferentino nel XVIII-XIX sec. e la Scuola delle Maestre Pie


Nel 1755 mons. Pietro Paolo Tosi, vescovo di Ferentino, visitando la città, ispezionò la Scuola Femminile delle Maestre Pie, eretta in Casa Claruzi nel territorio della Parrocchia di S. Valentino. Il Vescovo lodò la buona conduzione della scuola e ne deputò come esattore don Vincenzo Piccirilli (AVF, Visite Pastorali, vol. A/IV, f. 31). Dunque già dagli inizi del XVIII secolo in Ferentino era attiva una scuola per le fanciulle diretta dalle Maestre Pie. Tale scuola era seguita anche con grande interesse dalla Comunità cittadina; infatti nel 1789, il 22 ottobre, il consiglio comunale, riunito in seduta plenaria e presieduto dallo stesso governatore Ermenegildo Gabrielli, deliberò di accollarsi gli oneri delle spese di affitto dei locali e dello stipendio alle maestre. Il servizio che le maestre offrivano non poteva non trovare favorevoli i pubblici amministratori: infatti queste erano impegnate a raccogliere le fanciulle del popolo, lasciate sole in città dai genitori, che giornalmente si recavano nei campi a svolgere il loro faticoso lavoro.


 Lasciate sole e senza controllo, le fanciulle potevano traviarsi e, così, arrecare grave danno alla società, perché una volta divenute spose e madri, essendo ignoranti, non avrebbero saputo trasmettere ai loro figli i sani principi del Cristianesimo, della vita timorata di Dio né avrebbero saputo condurre bene la vita familiare.

Nel Lazio già della metà del XVII secolo si erano costituite istituzioni educative dirette da giovani donne, per sovvenire ai bisogni culturali e religiosi di tutte le fanciulle, ricche e povere. Le maestre di queste scuole non erano religiose, ma laiche, e questo per favorire i loro spostamenti da città in città e per permettere loro di trattare liberamente con le persone, senza gli impacci dei vincoli religiosi. Una delle prime istituzioni scolastiche femminili fu fondata nel 1685 in Viterbo da Rosa Venerini e subito si diffuse in tutto il Lazio, trovando terreno fertile anche nella Provincia di Campagna: ad Anagni (suor Claudia De Angelis, 1708) e ad Anticoli, l’odierna Fiuggi (Sorelle Faioli, 1747). Ma nella provincia di Campagna le Scuole Pie ebbero un'altra direzione: in questa provincia si pensava che lo stato religioso giovasse a dare maggiore prestigio alle maestre. Così la scuola delle sorelle Faioli fu trasformata in Conservatorio, una istituzione religiosa, e alle Maestre fu consegnato l’abito francescano nero. Le Maestre Pie divennero le Suore di S. Chiara.
 

1. Ferentino e il Conservatorio di S. Chiara della Carità


Dopo i luttuosi eventi del periodo rivoluzionario francese, ricostituito l’ordine pubblico, tra i vescovi di Alatri, Anagni, Ferentino e la Priora del Conservatorio di Anticoli intercorse un accordo con l’intento di costituire nelle diocesi della Provincia scuole similari a quella di Anticoli. Nel 1802 sorse il Conservatorio della Carità ad Alatri e nel 1803, ospitata nei locali di Casa Carnabile (presso la Chiesa di S. Francesco), quello di Ferentino.
La scuola femminile ferentinate nel 1804 si trasferì in casa Querci e, poi, nel 1815 in Casa Ricci, sede dell’attuale casa delle francescane. La data ufficiale della nascita del Conservatorio della Carità di Ferentino è il 14 aprile 1816, nel quale le maestre erano suore di volontaria clausura e sottoposte ai voti semplici di povertà, castità ed obbedienza. Il Conservatorio di S. Chiara prese il titolo “della Carità” perché dopo la Rivoluzione Francese le autorità civili riconoscevano solo le istituzioni religiose che avessero qualche funzione sociale.
La scuola era essenzialmente di Dottrina Cristiana, divisa in due classi a seconda dell’età e del livello di preparazione; il testo era il Catechismo di S. Roberto Bellarmino, al quale si aggiungevano la spiegazione dei Vangeli domenicali, l’apprendimento delle preghiere e di vari metodi di orazione e l’insegnamento della lettura. Parallelamente allo studio l’apprendimento dei lavori femminili. Nel 1829 nel regolamento scolastico si introdusse l’insegnamento della scrittura, necessario tanto alle fanciulle “civili” quanto alle popolane; queste ultime, infatti, dovevano saper scrivere per stare a bottega. Le fanciulle ammesse alla scuola, indipendentemente dal loro livello sociale, tanto le “civili” quanto le popolane, seguivano le lezioni nella medesima aula.
Nel 1843 il Conservatorio di S. Chiara della Carità divenne Monastero di clausura e, per ottenere questo, Caterina Troiani insieme alla superiora Madre Aloisia Castelli si era impegnata moltissimo in Roma, perché strenuamente convinta della necessità della contemplazione e dell’approfondimento della spiritualità francescana, tutta indirizzata alla contemplazione di Cristo povero e abbandonato sulla Croce. La spiritualità professata nel monastero, quindi, si ancorò ancor di più nel metodo dell’orazione mentale, degli esercizi spirituali, delle pie pratiche devozionali dell’Orologio della Passione, dell’Esercizio delle Scale. Si rafforzò la spiritualità della Croce e il tema dominante fu la Redenzione. Tuttavia la laboriosa vita delle monache non cambiò: nel monastero c’erano le grate, la ruota, il coretto, la separazione dai secolari, ma continuava la scuola, si organizzò un opificio di cotoni tessuti acciò le fanciulle scolare potessero apprendere tal lavoro e trattenersi a lavorare invece di girare e vagare per la Città. Si organizzò pure una spezieria omiopatica, su richiesta di suor Caterina Troiani. Nel monastero venne istituita una biblioteca di spiritualità e fu istituito anche l’archivio, il cui incarico fu assegnato a suor Caterina Troiani; a lei il monastero affidò l’incarico di scrivere: scrivere la nuova Regola, scrivere la cronistoria dell’istituzione, ordinare le carte per impedire la dispersione dei documenti.
A suor Caterina fu assegnato l’incarico di scrivere la storia del Monastero per far conoscere il percorso della costruzione della nuova istituzione e fu chiamata anche a seguire le fasi di costruzione della nuova cappella (1856), la “chiesolina” della Madonna del Buon Consiglio, e della nuova ala del monastero che doveva accogliere l’edificio delle scuole. Suor Caterina era chiamata a costruire.    


2. Caterina Troiani educatrice


Caterina Troiani, al secolo Costanza, originaria di Giuliano di Roma, era entrata nel conservatorio di Ferentino ad appena di sei anni, il 18 luglio 1819, vittima di una grande tragedia familiare: era rimasta orfana della madre, probabilmente uccisa dal marito, che per questo misfatto scontò molti anni di carcere.
Maturata una profonda vocazione religiosa Costanza Troiani l’8 dicembre 1829 prese l’abito religioso, assumendo il nome di suor Maria Caterina di S. Rosa da Viterbo. Sempre nel 1829  Suor Caterina, prescelta dal vescovo Lais, fu nominata maestra nella scuola “particolare”, attivata per le educande interne e per le alunne provenienti da famiglie agiate; ma la Suora impresse alla scuola una svolta importante, insegnando a tutte le alunne senza distinzione di censo e grado sociale a leggere e scrivere.
Suor Caterina applicava un piano didattico che comprendeva l’istruzione e la pratica della religione, il lavoro (rammendo o ricamo), la lettura, la scrittura, la calligrafia, il far di conto, “l’attività di vita pratica” (economia domestica). Promosse e potenziò per le Educande anche l’attività pratica, utilizzando l’opificio di cotoni tessuti, che era stato attivato dal 1843 dietro impulso del vescovo mons. Antonucci “acciò le fanciulle scolare, nel tempo libero dallo studio, potessero apprendere tal lavoro e trattenersi a lavorare invece di girare e vagare per la Città”. In un primo momento le giovinette vennero addestrate alla tessitura di tele grossolane, poi, perfezionandosi nell’arte della tessitura, giunsero a tessere persino la tela fina per fazzoletti. Annesso all’opificio dei telari era anche il laboratorio di ricami e merletti, preferibilmente per paramenti sacri; le fanciulle erano impegnate anche nella confezione di fiori artificiali e di immagini sacre in cartapesta o cera (in quest’arte era molto esperta madre Aloisia Castelli).
Suor Caterina fu maestra impareggiabile non solo per la grande perizia didattica, ma anche per la pazienza che usava nella pratica dell’insegnamento. La prassi pedagogica della Troiani era lontana da ogni teorizzazione. I suoi capisaldi erano: la promozione umana, la formazione cristiana, la prevenzione del male, il primato dell’amore, l’avvio all’apprendimento di un mestiere. Il suo interesse primario è la vita religiosa e l’adesione alla regola francescana, interesse da cui non disgiunge una viva passione per la scuola, per l’educazione della gioventù e della donna, in particolare, tanto da impegnarsi, non solo in Ferentino (1829-1859), ma anche in Egitto (1859-1887) in un’opera di promozione e liberazione della donna attraverso l’educazione e la cultura.


3. Caterina Troiani missionaria

La vocazione ascetica e claustrale di suor Caterina ad un certo punto ebbe una conversione: la riflessione sul tema della Redenzione la spingeva a desiderare di “portare” la Redenzione fuori delle mura del monastero, nel mondo, tra quei popoli d’oltremare che Dio le aveva fatto conoscere già dal 1835 con una chiamata specialissima.
padre-giuseppe-maria-modena-1.JPGPer realizzare il dono di Dio occorreranno 24 anni di attesa dolorosa ma feconda di opere: il Signore forma Caterina come missionaria attraverso la sofferenza, la purificazione interiore, il buio della fede. L’anelito missionario, che si faceva sempre, più forte spinse Suor Caterina a progettare prima una missione in Inghilterra, poi a Gerusalemme (Terra Santa); infine, grazie all’incontro con Padre Giuseppe Modena, del convento francescano di S. Agata in Ferentino, l’ideale missionario di Caterina si definì: la nuova missione doveva sorgere in Egitto al Cairo dove servivano maestre per la scuola femminile.
La prospettiva missionaria si realizzò nel 1859 dopo un lungo iter burocratico. Il drappello di missionarie animate da suor Caterina e guidate dalla badessa Aloisia Castelli, partite da Ferentino nell’agosto del 1859, arrivò al Cairo il 14 settembre dello stesso anno. Le due più strenue sostenitrici della clausura, suor Caterina e madre Aloisia, si erano trasformate in genuini spiriti missionari. Da questo momento inizia la pagina più esaltante della vita di Suor Caterina Troiani. Nella missione suor Caterina promosse svariate opere: la scuola per le fanciulle, il riscatto delle morette dalla schiavitù, l’accoglienza dei bambini abbandonati, la cura degli ammalati.
Nel 1863 da Ferentino giunse la richiesta di abbandonare la missione e di ritornare in patria. Suor Caterina rimase al Cairo, addolorata per lo strappo doloroso dalla casa madre, ma convinta che era nata una nuova pianticella da coltivare per la gloria di Dio e per il bene delle anime. Lo strappo si ricucirà nel 1896 quando il monastero ferentinate si unirà alla casa d’Egitto, professando la Regola delle Terziarie Francescane, regola scritta da Madre Caterina Troiani e approvata dalla Chiesa nel 1876. “Il ramo di Anticoli divenuto tronco a Ferentino, ridiventava ramo del proprio ramo divenuto tronco in Egitto” (Michele Colagiovanni).
Suor Caterina morì a Clot-Bey in Egitto il 6 maggio 1887. Visse quarant’anni in Ferentino e quarant’anni al Cairo. Claustrale seppe rinnovare e vivificare la sua chiamata religiosa divenendo missionaria. Nel chiostro fu missionaria e nella missione non tralasciò la contemplazione. Donna forte di Ciociaria lottò per l’emancipazione della donna seguendo il Vangelo, Francesco d’Assisi e donando amorevolmente l’istruzione: “anziché attendere a fare cose degne da scriversi, preferì scrivere cose degne da farsi”.