Memorie storiche di don Paolo ottava parte
Perché la composizione scenica la ricompose nel giardino del chiostro, con maggior spazio e apparato scenico. Agli alunni fu chiesto di esprimere un pensiero, un desiderio, una preghiera al Santo protettore della gioventù. Consegnati i biglietti, questi prima di essere bruciati con incenso in un tripode, venivano letti. Aspettando il mio, andai a nascondermi sulla prima rampa della scala nobile. Perchè? Lo lascio indovinare a chi legge. Nessuno mi aveva dettato quello che ho scritto. Forse LUI. Però anche la rappresentazione in giardino ebbe il suo incidente, non grave però.
Lanciati dei razzi, uno deviando ha colpito un ragazzo in testa. A queste manifestazioni grande era la partecipazione dei borghigiani.
Sant'Agata era un centro di spiritualità e per quei tempi di pubbliche manifestazioni e attrazioni.
Altro episodio che dimostra che Qualcuno lavorava dentro. Presenti a Ferentino per un corso di predicazione in preparazione alle feste del Taumaturgo Crocefisso: Padre Bartolomeo e Padre Epifanio, cappuccini oriundi di Grotte, al termine della loro fatica, ci rivolsero l'invito: "chi di voi vuole iscriversi al Terz'Ordine?” Pochi avevano l'età richiesta. Proposero a chi non aveva l'età richiesta di farsi CORDONCINI. Accettai e fui, con suggestiva cerimonia, cinto di un
cordoncino di lana, pelle pelle. Non ricordo quale altro impegno ci proposero. Invece di fare un nodo scorsoio, pronto a dilatarsi, feci un nodo stretto. Il ragazzo cresceva. Incominciai a sentirmi scomodo. Per un pezzo prevalse in me quasi un senso di colpa, e sopportai quel cordoncino che quasi incideva la pelle. Un giorno, non potendone più, con il cordoncino feci saltare anche il Terz'Ordine. E' chiaro che il Signore mi chiamava per altra VIA. Tognini si accorse della nostra
disponibilità e ci propose Don Guanella come Aspiranti Laici. Fu cosi che a Ferentino negli anni 1923-1924 e 1924-1925 nacque il tentativo di allevare membri per la Congregazione.
Ecco l'elenco:
Anno 1923-1924
Francesco BORRETTI
Roberto SPENSIERI
Paolo CAPPELLONI
Amerigo DI SANDRO
Romolo MANCINI
Giovanni PISTILLI
Augusto VENANZI
Serafino BORGOGNONI
Assistente il Chierico Enrico CORNEO
Anno 1924-1925
Marcello CECCARELLI
Paolo CAPPELLONI
Amerigo DI SANDRO
Romolo MANCINI
Giovanni PISTILLI
Augusto VENANZI
Serafino BORGOGNONI
Armando PATRIARCA
Assistente il chierico Remo BACECCHI, novizio.
Inseriti in Comunità, anche se trattati con certa distinzione e riguardo: orario proprio, tavola a parte, pur nel refettorio comune, mensa più ricca. La giornata era piena, quasi da novizi. Levata anticipata, S. Messa, partecipazione alla Messa di comunità, meditazione o conferenzina, studio, scuola o lavoro. Visita dopo pranzo, ora di adorazione settimanale.
Oggi mi trovo in difficoltà nel dare un giudizio e sull'iniziativa... e tanto più sui singoli. L'impressione è che costituissimo un corpo estraneo. Dei singoli taccio, perché di alcuni non potrei dire bene: specialmente di M.C. e P.A. Il risultato fu nullo o quasi. Ci siamo salvati in due: l'estensore di queste memorie e Amerigo DI
SANDRO.
Perché abortita miseramente l'iniziativa, finita la IV elementare e due anni di apprendistato in Tipografia, abbiamo optato per il sacerdozio. Di Sandro, di Colli al Volturno in quel d'Isernia, lasciò il Noviziato. E sono rimasto solo. E' stata vana fino a oggi ogni ricerca per rintracciare Di Sandro. Vivo? Morto? Se vive dovrebbe avere pressappoco la mia venerabile età. L'esame di quarta elementare è stato un successo. Presi talmente in serio l'impegno, da alzarmi di buon mattino, con un compagno della mia età, un certo MILLOZZI Giacomo, che uscito da Fara, completati gli studi ebbe e forse ha un buon impiego, per ripassare la Storia Romana. E' venuto a Roma a trovarmi. Ritornando agli esami di quarta, ricordo che in disegno valevo poco. Me la sono cavata, essendo il soggetto a scelta, un ramo di limone con frutto e alcune foglie.
Nel settembre del 1924 partivano per Fara da Ferentino Giacomo Millozzi, Antonio Morettino e Vincenzo Sacco. Fui chiamato da Don Negri. Scorazzavo per i corridoi senza zoccole. Mi aspettavo se non un castigo una strapazzata. No, invece. Mi dà notizia della partenza dei sunnominati, e chiede a me: "Che intezioni hai?" lo mi voglio fare prete, non laico, rispondo. "Rimandiamo all'anno venturo" risponde. E con Di Sandro fui assegnato alla TIPOGRAFIA.
La vita ha un suo programma, un disegno, nello svolgimento del quale e nel tracciarne le linee, quanti fattori intervengono; non bisogna quindi meravigliarsi dei "disguidi” a cui va soggetta. Importante è arrivare alla meta.
Il ritardo di oltre due anni, nel dare inizio al mio curriculum che doveva portarmi alla maturazione della vita religiosa e al sacerdozio mi servì per una scelta più cosciente, anche per le amare esperienze fatte in quei due anni.
La Tipografia, come scritto la volle Don Riccardo. Fu rilevata, di seconda mano. Constava di una macchina doppio rullo, doppio piano, che poteva stampare bianco e volta un foglio 70x100. Data la mole non poteva certo essere messa in moto manualmente; un'altra macchina, che noi si chiamava "mezzana" agibile anche manualmente, una “pedalina" per le stampe minori; una taglierina manuale, con i singoli accessori per l'inchiostrazioni ecc. Materiale di compositoria, con caratteri mobili in piombo e legno. Rilegatura di libri, ecc.
Come scuola tipografica fummo affidati a un proto e a un capo macchinista. Il proto si chiamava Mario, un orfano della Marsica accolto da don Orione. Il macchinista si chiamava Egidio. Il 1° settembre pagava sempre l'onomastico. Artigiani piu avanti di noi erano già avviati al mestiere o "arte" della stampa: nomino Mancini Romolo, Salvati Alfonso. Primo lavoro in quei mesi caldi di luglio e agosto: scegliere tra i ritagli della carta quelli bianchi da quelli
variamente colorati. Quelli bianchi, riciclati valevano di più. Accoccolato con Amerigo sul pavimento si passavano le ore. Ore piene di solitudine e silenzio. Non ci facevamo mancare un merendino o picnic come si dice oggi, a base di pane e pomodori. I pomodori erano dell'orto, sale e olio dal vicino refettorio dei preti, oltre gli avanzi che qualche volta lasciavano nella ruota. Esaurito quel noioso mestiere siamo passati alla rilegatura di libri al telaio; altro lavoro: la piegatura
del bollettino della casa “Culto e Carità”. Compilazione di registri ed altro. Non avevamo ancora sporcato le mani componendo o scomponendo i caratteri. Come aspiranti laici abbiamo continuato, per quanto il mestiere lo consentiva, il nostro orario, sotto la guida del chierico Bacecchi.
Fu quell'anno, che in premio siano andati a Isola del Liri a visitare le Cartiere Meridionali, che ci fornivano la carta.
La Tipografia inizialmente fu alloggiata in locali prospicienti la via Casilina. Il motore, un motore a scoppio, proprio sull'entrata della vecchia portineria. Faceva un rumore indiavolato. Una cinghia di trasmissione metteva in moto sia la “mezzana" sia il macchinone.
Penso che non vennero reclami dagli abitanti le case prospicienti, ma che fu una scelta mirata di trasportare in altra sede la Tipografia.
Furono scelti locali in vecchi sotterranei, uno addirittura deposito di ossa da morto, che aperta una breccia furono trasferite in altro locale.
Operazione macabra! Il trasferimento del macchinario e del materiale di compositoria richiese molto tempo, e l'ausilio di un bravo meccanico, per smontare e rimontare. Il meccanico era un Trentino. Erano più bestemmie che parole quelle che uscivano dalla sua bocca. Per noi ragazzi fu un giuoco, anche se abbiamo dato il nostro apporto. Un carrello con piano robusto e ruote basse assolse alla bisogna. Costituiva un grosso problema il trasporto delle fiancate e soprattutto del doppio piano del macchinone. Bene o male le fiancate sono arrivate senza danno a destinazione, arrivati al doppio piano, caricato con un paranco sul carrello, tira e spingi, è arrivato all'inizio di una cordonata che portava all'ingresso del locale destinato ad accoglierlo. Operazione rischiosa. Imbracato, con un verricello, si tentò la calata, pregando Dio che non sfuggisse al controllo. Il Signore fece la grazia a metà. Perché sfuggito al controllo, prese a scivolare, aumentando di velocità. Fortuna volle che piegando a destra, andò a sbattere contro lo stipite in pietra dell'ingresso. Fu un generale sospiro di sollievo. Se
andava dritto, sarebbe andato a finire, sfondato il muro di cinta giù sulla strada di S. Jaco. La compositoria fu sistemata nel locale sottostante l'aula. Qui, con la cartellina in mano, abbiamo appreso la posizione delle lettere dell'alfabeto minuscolo e maiuscolo e degli altri caratteri tipografici. Nostro compito era anche ritornare alla propria casella i così detti "réfusi”.
Rimesso in moto il macchinone - MARINONI - Paris - e accresciuto il lavoro, fu necessario un direttore di tipografia e fu trovato nel Sig. Filippo Marelli. Mi prese a voler bene e sapendo la mia situazione familiare, almeno una volta mi volle a pranzo.
La maggior parte dei lavori erano di carattere commerciale o di ufficio. Partecipazioni, biglietti da visita. Non eravamo attrezzati per vere e proprie Edizioni. Ricordo che mi capitò per le mani una tesi di una studentessa di Ferentino su “De partu Virginis” del Sannazaro. Per le sagre locali frequenti erano le richieste dei manifesti per i programmi, manifesti murali. La Tipografia fu messa in crisi per una grossa gaf di don Negri. Accettò a condizioni svantaggiose la stampa
di un'opera del P. Andrea Tirocchi, in due volumi. Titolo: "La ricerca del tempo attraverso la storia della Terra” richiese l'acquisto di caratteri corpo dodici e carta sostenuta. L'autore se ne riservava non so quante copie, il resto rimaneva a noi in compenso del lavoro, Composto e stampato il primo volume, che nessuno acquistava, al secondo il lavoro si blocco. Si complicò la situazione e la faccenda si fece seria... minacciando il frate di andare per vie legali.
Nel frattempo aveva venduto l'opera a un ingegnere di Velletri. Fu poi risolta per l'intervento del Superiore Provinciale dei Minori.
I due anni di apprendista tipografo, penso non siano stati inutili. Con il compagno Di Sandro, negli anni di Fara, soprattutto nel primo anno di noviziato, trovata una cassa di caratteri e un torchietto, abbiamo stampato gli indirizzi dei benefattori che ricevevano il nostro bollettino
A questo punto delle mie memorie intendo inserire due episodi, capitati nello stesso anno 1924: uno in maggio, deduco il mese perché erano mature le fave, l'altro ad agosto o settembre: erano maturi i fichi. Assistenti: il chierico Carrugati Pietro e il chierico novizio Remo Bacecchi. L'orto era l'attrattiva, offrendo nelle diverse stagioni, legumi e frutta. Anche il pergolato che ombreggiava in parte il cortile, al maturar dell'uva era oggetto delle nostre aggressioni, colpendo i grappoli con sassi o con una canna a forcella staccandoli integri per poi correre al gabinetto per consumarli. Naturalmente i grappoli colpiti a sassi facevano cadere gli acini per terra che così ripuliti si trangugiavano.
Un anno, durante il cambio della guardia, che avveniva alla fine di settembre o ai primi di ottobre, mentre gli assistenti nuovi si intrattenevano in lieta conversazione con i vecchi, un certo numero di ragazzi, approfittando dell'occasione propizia, han preso d'assalto il pergolato, che non reggendo al peso, cedette. Uno scempio! Che si manifestò più evidente al mattino. Non fu certo un'accoglienza gradita, tutt'altro!
La casa di Ferentino non godeva buona fama, e i chierici mandati per l'assistenza, prevenuti , vi andavano mal volentieri, e terminato il loro mandato, lasciavano la casa con senso di liberazione.
Gli episodi che vado a narrare lo confermano. Vi sono implicato in prima persona. Una sera di maggio, approfittando dell'assenza momentanea dell'assistente, il chierico Carugati, un gruppo di ragazzi scivolò passando sotto la rete nell'orto, invadendo il campo di fave.
Tornato si avvide a prima vista che mancavano molti ragazzi. Non volendo o non potendo castigare tutti, dall'alto gridò: "L'ultimo sarà castigato. Venite su”. Per accertarsi che fossero presenti tutti, data l'ora li mandò a letto. Il mio letto era vuoto. L'ultimo ero io. Mi ero attardato, e mentre gli altri erano risaliti dall'orto e raggiunto il dormitorio, io ero rimasto tagliato fuori. Inizia la caccia al ritardatario.
Pose a guardia la suora ortolana e un “buon figlio” di nome Augusto la suora si chiamava Panizza. Lui, con tutta la sua mole occupava il vano di una porta che dal refettorio dava in cortile. La trappola era montata. Come sfuggire? Avendo atteso invano, l'assistente si ritirò. Così la suora e Augusto. Approfittai per raggiungere l'accesso al refettorio. Per lavori in corso la luce del refettorio non funzionava. Nel cielo però splendeva la luna. Mi sentii perso. Mi accucciai e trattenni il respiro. Carugati riprese la sua posizione nel vano della porta. La talare, mossa da un venticello mi sfiorava il volto, a rischio di qualche starnuto. Si ritirò. Approfittai della momentanea assenza, e trovai rifugio in un locale addetto a deposito di carbone. Tornò. Sospettò la mia presenza in quel locale. Per accertarsi e tentare di snidiarmi, prese una pietra e la lanciò, così alla cieca. Mi ero accantucciato nell'angolo; la pietra mi sfiorò, ma non mi colpì. Avvertii il rischio. Uscire voleva dire arrendersi e darsi in mano. Non mi rimase che arrampicarmi e sistemarmi cavalcioni sul divisorio che separava la buca dal primo dei
due gabinetti. Attraverso un foro nel muro, ove i piccioni facevano il nido potevo vedere CARUGATI, tornato alla sua postazione. Volevo risolvere la situazione al rovescio, passando attraverso un'apertura nel muro nel sotterraneo. Tentativo fallito, perché ostruito da materiale vario. Altrimenti dal sotterraneo potevo salire nel giardino del chiostro, e di là in dormitorio e farmi trovare a letto. Ho dovuto invece aspettare che il CARUGATI, stanco, si ritirasse, lasciandomi via libera.
Il secondo episodio sa di rocambolesco. Medesimo anno.
Agosto, settembre, non ricordo. Erano maturi i fichi. Sabato,pomeriggio. Terminato il pranzo eravamo in cortile per la ricreazione
Portati fuori si attendeva alla pulizia straordinaria dei tavoli. Non so il perché me la presi con uno più piccolo di me, tal Memo DE ANGELIS, disturbandolo nel suo giuoco. La protesta e più il pianto attirò l'attenzione dell'assistente BACECCHI, che leggeva, seduto, non so che all'ombra dell'olmo. Mi chiamò. Invece di presentarmi, girai a largo, facendomi scudo dei tavoli. Uno, due giri. Si metteva male per me. Infilai l'androne, ero scalzo - inseguito dal BACECCHI; accellerando percorsi il portico del chiostro, salii la scala che dall'atrio della sacrestia portava al piano superiore. In cima la scala mi raggiunse una zoccola lanciata dall'inseguitore, che vista l'inutilità ritornò sui suoi passi, anche perché aveva lasciato soli i ragazzi, divertiti di quella scena. Percorso l'antico corridoio che dava sulle celle dei frati, attraversato il lurido ambiente dei servizi degli anziani, per una scala raggiunsi più che un terrazzo, un'altana. C'erano dei materazzi
maleodoranti. Cambiai idea. Approfittando del silenzio tipico pomeridiano, scesi non visto, e presi la strada dell'orto. Non sicuro neanche sotto il folto delle piante dei fichi, perché quelli addetti alle pulizie venivano a svuotare le pattumiere, e data occasione piluccarsi qualche fico. Mi rifugiai nel folto del canneto. Sentivo le voci dei ragazzi, seguivo, per quanto mi era dato, le mosse dirette alla mia ricerca. Non sapendo come occupare il tempo, mentre rimuginavo pensieri tristi e ricordi amari, con il fango del canneto confezionavo dei salamini che accartocciati appendevo. Ma le ore non passavano mai. Penso oggi che avessero, dopo avermi cercato invano, pensato a una fuga. Feci allora manovra di avvicinamento. Ad ora ancor chiara, lungo il muro che separava l'orto dalla strada di S. Jaco, mi introdussi nei locali del sotterraeno, per aspettare l'ora propizia per raggiungere il dormitorio. Dalla mia postazione, udivo le voci dei ragazzi e il ripetuto invito che c'era a disposizione il sacerdote per chi voleva confessarsi. Nacque in me il desiderio di porre fine all'avventura con una buona confessione. Narro a mia confusione un particolare: due compagni sorpresi non so a far che cosa, li avevano chiusi piangenti nel sotterraneo. Accrebbi la loro paura con voci e rumori. Quando lo ritenni opportuno, uscii dai sotterranei dalla grata che serviva da areazione e sbucava nel iardino del chiostro.